#365 E’ la somma che fa il totale

Non credevo che questo giorno sarebbe mai arrivato e invece eccolo qua. Oggi è il mio ultimo giorno da aspirante fotografo. Da domani, non potendo né volendo fregiarmi del titolo di fotografo, sarò “un aspirante” e basta. Di che cosa ancora non so, ma una cosa è certa, che con la scusa del Capodanno mi farò una sbornia colossale, anzi, potrei perfino essere tentato da una nuova sfida: se avete una cantina di prosecco mettetela pure a mia disposizione. Vedo già il titolo del prossimo blog: una bottiglia al giorno, per un anno…

Certo, ci vorrà del tempo per tornare alla normalità.
Addormentarsi senza il pensiero di dove andare il giorno dopo; poter dormire finché il corpo lo richiede; risvegliarsi senza l’incubo del maltempo; fare colazioni pigre; ricominciare a fare un po’ di trekking; praticare un po’ di worldwatching (guardarsi attorno con interesse, ma in modo disinteressato); fotografare per il gusto di farlo, ma senza l’ossessione di doverlo fare ad ogni costo; bearsi del sole; aver tempo per ogni cosa; fare cose senza preoccuparsi del tempo…

Un anno fa scrivevo che avrei affrontato questa avventura consapevole dei problemi e delle difficoltà a cui sarei andato incontro. Sapevo che sarebbe stata dura, ma contavo su una grande ricompensa: speravo di diventare un fotografo migliore e magari di migliorarmi anche come persona. A un anno di distanza posso dire di avere di gran lunga sottovalutato i problemi e le difficoltà, ma penso di aver centrato entrambi gli obiettivi.

Non voglio fare l’ipocrita e quindi affermo, senza falsa modestia, di essere molto migliorato in quanto fotografo. Non era poi così difficile dal momento che in partenza ero una vera schiappa. Ma su questo aspetto, che onestamente m’interessa di meno, non vado oltre; e del resto voi siete migliori giudici di me.

Mi preme invece considerare quanto profondi siano stati i cambiamenti che questo esercizio quotidiano, questo continuo mettermi in gioco, questa necessità di superare l’asticella che io stesso ponevo sempre più in alto, hanno prodotto sul mio modo di essere e di pensare. Un anno fa, in condizioni simili, avrei spento la luce e sarei sgattaiolato via in silenzio. A distanza di un anno mi scopro invece più forte, più determinato, con un livello di autostima che non avrei mai immaginato di poter raggiungere. Un anno di psicoterapia non sarebbe stato altrettanto efficace.

Dunque ce l’ho fatta ed oggi festeggio il successo di un’impresa che non è solo mia, ma di tutti quelli che, in un modo o nell’altro, mi hanno dato una mano. Non ci sarei mai riuscito se non avessi sentito intorno a me l’interesse e l’affetto di molti. Mi piacerebbe menzionare tutte le persone che mi hanno seguito, ma sarebbe impossibile, oltre che noioso. Porgo dunque i miei ringraziamenti, in forma collettiva, a tutti coloro che mi hanno letto e sostenuto con i loro “mi piace”; a quelli che mi hanno “tirato su” quando stavo giù; che mi hanno fatto cambiare idea quando avevo deciso di mollare; a quelli che mi hanno scritto in privato; a quelli che mi indicavano posti e situazioni da fotografare; a quelli che passavano a prendermi a casa. Un grazie particolare, poi, lo devo agli amici che avevo prima di iniziare questa avventura e che non ho perso, nonostante li abbia molto trascurati. Hanno dovuto sopportare il cambiamento dei miei ritmi di vita, delle mie abitudini, dei miei interessi. Hanno saputo aspettare. Un grazie di cuore, davvero.

Ma il grazie più grande lo devo a mio figlio Lorenzo senza il quale tutto questo non sarebbe nemmeno iniziato. Cento volte l’ho maledetto per avermi messo in questa situazione, ma mille volte e per mille anni lo ringrazierò per averlo fatto. Generalmente spetta ai genitori il compito di educare e far crescere i propri figli – e chissà se sono stato all’altezza quando toccava a me – ma talvolta può accadere anche il contrario, ed è incredibilmente bello che accada.

Tutto bene, dunque? Non so, non direi, sarebbe troppo facile. Un anno è lungo. Questa esperienza è stata costellata di momenti belli, in cui mi sono sentito vivo e gratificato, ma anche da qualche momento di tristezza e solitudine. Come sempre, non è tutto oro quello che riluce. Ora è finita, mi prenderò una pausa; voglio un po’ di quiete, per riflettere, per capire cosa ho fatto, cosa sono stati per me questi trecentosessantacinque giorni. Certe cose si capiscono davvero solo a corsa finita, guardandole da lontano.

Passerà un po’ di tempo, ma poi lo so che – molto prima di quanto si possa immaginare – inevitabile arriverà la noia, e allora avrò nostalgia di questo impegno quotidiano che era, sì, un’ossessione, ma anche uno stimolo lieve e spensierato: se non temessi di esagerare, direi una ragione di vita. Ma chi l’ha detto che non debba avere altre – magari più ragionate e meno ossessive – ragioni di vita? Chiusa una partita se ne aprono altre. L’importante è non fermarsi, non crogiolarsi nel quotidiano con la testa rivolta perennemente all’indietro. Le esperienze, specie quelle che si concludono positivamente, sono uno sgabello su cui salire per porsi più in alto e guardare più lontano.

Ci saranno altri momenti, belli, brutti, ma personali e privati. Alla fine si tireranno le somme. Perché nella vita, come diceva Totò, “è la somma che fa il totale”.

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