#362 Una capatina da Capa

La noia, non la cupidigia, è il vero motore della Storia. L’ho capito oggi visitando Villa Manin a Passariano di Codroipo. Da molto tempo Villa Manin viene adibita a centro internazionale d’arte. Nell’ambito di questa sua “vocazione”, in questi giorni vi si svolge una mostra delle migliori fotografie di Robert Capa.

Non vi tedierò con notizie biografiche su Robert Capa. Chi desidera approfondire l’argomento può trovare quanto gli serve su Wikipedia. Ma la cosa migliore da fare sarebbe – e ve lo raccomando – farci una capatina. Tra l’altro Villa Manin è bellissima e, anche senza la mostra, meriterebbe una visita.

Le fotografie che ho scattato oggi, con qualche eccezione, ritraggono più che altro la villa e il suo giardino. Mi sarebbe piaciuto scattare anche qualche foto alle opere esposte e, nonostante i numerosi cartelli di divieto, ho chiesto ugualmente se si poteva fotografare: l’addetto alla biglietteria ha risposto: «Possibilmente, no». Ho colto la palla al balzo: «”Possibilmente” lascia aperta una possibilità…» L’addetto ha sorriso: «Non facciamo i gendarmi», ha replicato. «Ricevuto» ho risposto io, mettendo Nikotina in on.

In realtà, dentro le sale l’illuminazione era tale da scoraggiare qualsiasi fotografo, o aspirante tale. C’erano dei bellissimi lampadari veneziani, con un sacco di pendagli a goccia, che si riflettevano nel vetro di ogni foto. Vabbe’ che siamo a Natale, ma che gusto c’è a rovinare le foto di Capa con decine di bagliori luminescenti?

Così, durante il percorso della mostra, ho fatto pochissimi scatti, e quei pochi per documentare le sale e l’ambiente. Tra una sala e l’altra ho attraversato la stanza di Napoleone Bonaparte, ed ho voluto documentare pure quella. Già, perché al termine della sua prima campagna d’Italia, Napoleone aveva alloggiato qui, a Villa Manin, che era stata fino a quel momento residenza di Ludovico Manin, ultimo doge di Venezia. C’era stato un paio di mesi nel 1797, il Bonaparte, giusto il tempo di firmare il trattato di Campoformio (o Campoformido) che poneva termine all’esperienza della Repubblica di Venezia la quale veniva ceduta all’Austria in cambio del riconoscimento della Repubblica Cisalpina. Quel voltagabbana di Napoleone!

Ed è stato lì, che mi sono reso conto di quanto noiose fossero le serate del futuro Imperatore. In quella stanza non vi era traccia di ADSL, neppure uno straccio di radio o di televisore. Sì, vabbe’, c’era Giuseppina, però… Se almeno avesse potuto aprire un proprio profilo su Facebook, avete idea di quanti amici si sarebbe fatto? Io glielo avrei messo il mio “mi piace”… E invece no, in preda alla noia non poteva far altro che giocare con i soldatini facendosi un sacco di nemici. Era inevitabile che prima o poi le cose per lui si mettessero male…

Però una immagine tra quelle esposte, stando bene attento ad evitare i riflessi, l’ho fotografata. Erano 180 le foto di Capa, tra cui le sue più famose: quella del miliziano lealista che cade ucciso con il moschetto in mano; quelle dello sbarco in Normandia e molte altre, ma ce n’era una che non avevo mai visto e che ha immediatamente catturato la mia attenzione. E’ l’ultima foto del post. Rappresenta un uomo ed una donna. Lui è un militare, ha lo zaino in spalla; lei spinge una bicicletta. Camminano fianco a fianco su una strada bianca. Probabilmente parlano tra loro. Forse lui la sta corteggiando.

In quella foto che è stata scattata in Sicilia nel 1943, in occasione dello sbarco americano, io ci vedo mio padre e mia madre. E’ così che si sono incontrati. Lui era un marinaio d’acqua dolce, addetto al deposito munizioni; lei una sartina di paese. In quell’ambiente, in quelle strade, in quella situazione, si sono scambiati una promessa e, proprio nel ’43, l’hanno mantenuta. Per fortuna, altrimenti ora non sarei qui a raccontarvela…

Che volete che vi dica: sapere che, più o meno nello stesso periodo, Robert Capa ha calpestato le stesse strade di mio padre e mia madre, che potrebbe perfino averli incrociati, è una cosa che mi emoziona e trasforma la mostra di oggi in qualcosa di particolare, che entra a far parte del mio vissuto, che non potrò scordare.

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