#339 Se vi piace sognare

Fino a qualche tempo fa non sapevo neppure cosa fosse “la galaverna“, poi qualcuno, non ricordo chi, me ne ha parlato. Si tratta di un fenomeno fisico assimilabile, per certi versi, a quello che produce la brina, ma si manifesta con modalità differenti. Mentre la brina è il risultato del congelamento dell’umidità notturna e avviene a livello del terreno, la galaverna è la conseguenza di una nebbiolina diffusa composta da minuscole gocce d’acqua sospinte da una brezza gelida e leggera. In queste condizioni, quando la temperatura va sotto lo zero, le goccioline non ghiacciano subito, ma si depositano sugli alberi, sui rami, sulle foglie, congelando lentamente e formando cristalli aghiformi estremamente fragili. Basta uno scossone per farli cadere.

Quando il fenomeno non riguarda una singola pianta, ma una zona, un bosco, un habitat più o meno vasto, allora, se si ha la fortuna di esserci, si avverte qualcosa di magico. Tutti hanno fatto l’esperienza di trovarsi in mezzo alla neve, e ognuno sa quanto l’atmosfera che si crea possa essere particolare e, a volte, meravigliosa, ma qui la meraviglia è moltiplicata per cento. L’occhio si perde in un mare di cristallo. Ogni ramo, ogni foglia, ogni filo d’erba, se ne adorna e impreziosisce, e la luce riverbera di bagliori inusitati. La sensazione è quella di vivere una fiaba. Di essere “dentro” la fiaba. Da un momento all’altro – a seconda dello stato d’animo – ti aspetti che appaia il lupo cattivo dal quale scappare, o la fatina buona a liberarti da ogni paura. E la mente ritorna, per qualche istante, alle storie magnifiche e terribili ascoltate da bambino, attorno al fuoco, mentre fuori imperava il gelo.

Purtroppo dura poco, quell’istante. Giusto il tempo di renderti conto che sei dentro un bosco dove ogni singolo minuscolo rametto è avvolto da aghi di ghiaccio; che tutto intorno a te è ghiaccio puro. Bellissimo, ma… Dopo un po’ ti senti come se ti avessero chiuso in un congelatore. Quando hai l’impressione che la galaverna ti si stia formando addosso; quando le foto che fai ti vengono mosse perché non riesci ad impedirti di tremare; ecco, quello è il momento di uscire, raggiungere l’auto e far andare il riscaldamento al massimo.

Pian piano il gelo se ne va e il sangue torna a scorrere, ma il sogno, se vi piace sognare, rimane.

PS
La galaverna di oggi, in realtà, l’ho fotografata ieri, dopo aver realizzato il servizio sul Santuario dei Santi Vittore e Corona. Proprio ai piedi del santuario, oltre la strada che porta a sud, c’è un angolo che non vede mai, o quasi mai, la luce del sole. Il posto ideale per questo genere di cose.

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#335 A zonzo aspettando il pranzo

Il mio stomaco, ultimamente, è stato sottoposto ad un “tour de force” davvero impegnativo. Dapprima ha dovuto sostenere la generosità alimentare di tutto il mio parentado siculo per il quale la massima espressione di ospitalità consiste nel nutrire l’ospite fin quasi a farlo scoppiare. Non posso dire, come ha fatto a suo tempo l’onorevole Scaiola, che tutto questo sia avvenuto a mia insaputa. Avrei potuto dire di no, naturalmente, ma perché avrei dovuto? Quando mi ricapita di fare delle mangiate luculliane di così tante prelibatezze?

E così ho fatto la parte dell’ospite, un ospite consenziente e perfettamente consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri che, nella fattispecie, guarda caso, coincidevano. La verità è che alla cucina sicula, polenta a parte, non manca assolutamente niente per essere una delle migliori d’Italia e del mondo.

Mi ero comunque ripromesso, al ritorno, di sottopormi ad una dieta defatigante. Lo scopo non doveva essere quello di dimagrire (ci penserò a gennaio, giuro!), quanto di fare riposare lo stomaco in vista degli impegni mangerecci dell’ormai prossimo Natale. Pensavo a brodini, mele cotte e insalatine, ma non avevo fatto i conti con gli amici che, pare, aspettavano soltanto il mio ritorno per subissarmi di inviti.

Ben vengano, naturalmente. Amici ed inviti sono sempre graditi. Non bisogna snobbare i periodi di vacche grasse, perché poi verranno, statisticamente parlando, quelli di vacche magre. E poi, come si fa a rifiutare un invito? E’ maleducazione… ed io, come forse avrete capito, non sono un maleducato.

Ieri era stata una giornata difficilissima: ho dovuto mangiar fuori sia a pranzo che a cena. Primo, secondo, dolce, caffè e ammazzacaffè. E oggi si profilava il bis. A questo punto il  mio stomaco ha inviato al cervello un messaggio perentorio: “In questa Italia attanagliata dalla crisi, io sono l’unico che lavora, mi fai fare pure gli straordinari. O ti dai una regolata o finisce male”.

Messaggio ricevuto, ma ormai è tardi per dare forfait agli amici che mi hanno invitato. E poi dare forfait è maleducazione… ed io, be’, lo sapete. Non mi resta che smaltire in anticipo facendo una passeggiata preventiva. Quale migliore occasione per scattare delle foto bucoliche? Quelle di oggi vengono dai dintorni di Bes.

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#100 Cento!

Scusate se parlo di me. Anche se, a dire la verità, fin dall’inizio, non ho fatto altro che questo. Ma questa volta lo faccio in modo esplicito perché voglio congratularmi con me stesso. Bravo Silfan, sei arrivato a Cento! Se qualcuno della provincia di Ferrara seguisse il mio blog (non credo…), penserebbe che sono in viaggio e magari si chiederebbe cosa diavolo ci faccio a Cento che è, per l’appunto, un comune di quelle parti. In effetti, non potrei smentire che di un viaggio si tratti, ma di tutt’altra natura rispetto a quelli, geograficamente concreti, cui siamo abituati. E’ un viaggio astratto, metaforico, che attraversa il mondo della fotografia, e non solo, per sentieri che mi si rivelano via via verso un posto che non so.

E pensare che l’ho cominciato quasi per gioco, per raccogliere una sfida. Ero sicuro che mi sarei stancato presto e che alla prima difficoltà avrei piantato lì. Non senza sorpresa ho passato la boa dei trenta giorni. E la sorpresa è stata ancora maggiore quando sono arrivato alla fine del secondo mese. A quel punto è cominciata a subentrare un po’ di stanchezza, fisica e psicologica. E’ un miracolo se arrivo a tre mesi, mi son detto. A tre mesi potrei smettere, potrei cambiare il titolo del blog: UNA FOTO AL GIORNO PER TRE MESI. Suona bene. Potrei ritirarmi onorevolmente, in fondo sono stato bravo, non ho saltato neppure un giorno, e tre mesi sono comunque un bel traguardo!

Poi, nell’avvicinarmi alla scadenza, ho pensato: perché non cento giorni? Cento è un numero tondo. Perché tre mesi va bene, ma vuoi mettere UNA FOTO AL GIORNO PER CENTO GIORNI? Suona molto meglio e in fondo sono solo dieci giorni di differenza! Ho stretto i denti ed eccomi qua. Questa è la centesima stazione del mio viaggio. Voglio scendere.

Un dio benevolo vuole che questa giornata, per me così speciale, coincida con il primo vero giorno di primavera. La temperatura mite si accompagna all’aria tersa. I prati per la prima volta appaiono verdi per davvero, e nel cielo, nuvole cotonate si aggregano e si disfanno in continuazione esaltando il colore della volta celeste. Che meraviglia il ronzio delle api che suggono i fiori! Quella di oggi è davvero una foto primaverile. L’ho ripresa dalle parti di villa Buzzati e ve la dedico di cuore.

§100 Cento!

PS: E domani? Che farò domani? A cosa penserò, come occuperò le mie giornate se non dovrò più pensare alla fotografia? Non mi mancheranno queste uscite forzate, e dunque stressanti, ma anche enormemente rivitalizzanti? A pensarci bene, quello intrapreso cento giorni fa, non è stato per niente un viaggio astratto, è stato anzi molto concreto e senza dubbio mi ha cambiato. In meglio, credo. Sono proprio sicuro di voler mollare? No, non sono sicuro. Arrivato a questo punto del viaggio ci sono buone ragioni per fermarsi e altre, altrettanto buone, per continuare. Ci penserò. Stanotte. Domani è un altro giorno.

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#93 Colori contro i giorni incolori

Sono uno che ogni giorno deve scrivere qualcosa sulla propria lavagna. Non sto parlando di una lavagna vera, ma della lavagna che ho in testa, virtuale, dove, sempre virtualmente, annoto i miei propositi, le cose che faccio, le persone che incontro e tutto quello che imparo nel corso della giornata. In tarda serata, con la testa già sul cuscino, osservo la mia lavagna virtuale e traggo un bilancio, una specie di dare e avere, ma alla buona, veloce, giusto per capire come catalogare la giornata trascorsa.

Da quando faccio questo giochino è notevolmente aumentata la mia capacità di memorizzazione, ma questo è un effetto secondario, la cosa importante è che, rendendomi consapevole dei miei atti, assumo una maggiore consapevolezza di me stesso. Che abbia fatto bene o che abbia fatto male – al limite – non importa, giacché ogni giorno, comunque, imparo qualcosa.

Eppure ci sono dei giorni che cominciano male, giorni scoloriti dove il grigio alla finestra fa pendant con quello che ti senti dentro; mentre gli impegni premono, urgenti e inderogabili; e una telefonata, di quelle che ti lasciano l’amaro in bocca, sembra non voler terminare mai… Sarebbe meglio cancellare l’inizio sbagliato, tornarsene a letto e dormire ventiquattro ore filate per dare al mondo la possibilità di un altro giorno e a te stesso un’altra chance. Ma sarebbe come barare, e non è previsto, non si può.

La prima cosa che voglio scrivere oggi su quella mia lavagna è che non mi farò condizionare dai colori della tristezza e per questa ragione, ad onta della giornata piovosa, andrò in cerca di cromatismi esagerati con cui contaminarmi, colori vivi che mi facciano sentire vivo.

PS
questa foto è stata scattata dalle grave del Piave davanti ad un pilone del Ponte Bailey.

#93 Colori contro i giorni incolori

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#56 Avvisaglie

Al risveglio, dalla finestra di casa mia, la vecchia provinciale appariva traslucida, come una lastra di ghiaccio. Poche auto vi si avventuravano. Ho cercato di tirarla per le lunghe, ma dopo un po’, per carenza di scuse, son dovuto uscire. Toh! Neviggina, mi son detto. Ed in effetti stava fioccando, ma una neve stupida, mista a pioggia, che si scioglieva appena toccava terra. Non faceva tutto il freddo che temevo, ma ugualmente ero deciso a procacciarmi il pellet per la mia stufa. E già: quando il gioco si fa duro…

Il mio fornitore di pellet sta dalle parti di piazzale Resistenza e in pochi minuti ci arrivo. Carico Fido-Camper sotto la neve che infittisce, quindi scambio due chiacchiere con l’impiegata. Sulla neve, ovviamente. Che è meglio che fiocchi sulle piste del Nevegal piuttosto che sulle strade; che l’ultima volta erano partiti pochi spartineve perché il comune c’ha pochi soldi e le strade erano un disastro; che non è più la stessa neve di quando eravamo bambini noi. Insomma, le solite cose.

Non so perché finisco a San Pietro in Campo. Cioè, lo so benissimo: devo trovare un posto dove scattare la foto del giorno; quello che non so è perché mi ritrovo proprio lì. Forse per via che, due giorni fa, dall’aeroporto, in lontananza svettava il campanile di quel borgo, e m’era sembrato carino. Può essere, ma in ogni caso oggi la situazione è completamente diversa. L’altroieri c’era un sole bellissimo mentre ora nevica e tira vento. Comunque sia, ormai ci sono e parcheggio Fido-Camper su una stradina laterale, quindi mi dirigo verso il campanile il quale, visto da vicino, è meno interessante di quanto mi aspettassi, e per di più continua a nevicare. Le foto che ho fatto finora sono uno schifo, ma è difficile che possano migliorare se la neve continua a bagnarmi l’obiettivo…

Decido di andar via e questa volta mi ritrovo a Nogarè. Ci sta un mio amico a Nogarè, di sicuro è a casa, magari gli scrocco un caffè così mi tolgo da tutto questo umidore. Mi riceve con una certa sorpresa perché non vado a trovarlo troppo spesso, ma sembra contento di vedermi. Mentre sorseggiamo il caffè gli spiego quel che sto facendo e perché. Il mio amico è un burlone, mi prende un po’ in  giro, ma si capisce che le mie vicissitudini fotografiche lo divertono. Nel frattempo ha smesso di nevicare, anzi, s’è affacciato uno scarno solicello. Devo andare, gli dico. Perché non vai giù per il Piave, suggerisce. L’idea mi piace, mi faccio spiegare la strada e m’incammino.

Il viottolo è ripido e fangoso e devo stare attento a non scivolare, ma poi arrivo nel piano. C’è un tratto brutto e maleodorante dove confluiscono ogni sorta di liquami. Chissà da dove vengono e chi li produce. Comunque sia non mi pare bello che finiscano nelle acque del Piave, anzi, direi che è proprio una schifezza. Penso che qualcuno dovrebbe fare qualcosa in proposito. Dopo un centinaio di metri, tuttavia, lo scenario cambia decisamente in meglio. Il sentiero, leggermente rialzato, serpeggia tra gli alberi. Il Piave scorre lento e lontano. Dietro una curva c’è persino una rustica panchina, dove, se fossi stanco, potrei riposare, ma non lo sono affatto, anzi, sono alquanto eccitato anche perché, proprio in quel punto, su un tratto discendente del terreno, ci sono, disseminati come polvere di stelle, dei bucaneve. Sono i primi che vedo, quest’anno. Sono avvisaglie. Se non è la primavera che avanza, di sicuro è l’inverno che comincia a cedere il passo. Bel segnale. Da fotografare.

§56 Avvisaglie

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#13 Oggi festa

Giornata di festa oggi, non perché è domenica, ma perché mi vengono a trovare il mio secondo figlio, la sua compagna e Sofia, la loro bimba. Tante cose da fare e poco tempo per farle: come al solito, ma con meno tempo del solito, però. E, tra le cose da fare, anche la foto del giorno… Mmm…

Per un istante il pensiero va al primogenito, che mi ha messo in questo guaio, e non è propriamente un pensiero riconoscente. Anzi. Ma l’arrabbiatura dura davvero un attimo e si scioglie in un sorriso. In fondo questa cosa piace pure a me. Non so perché, proverò a pensarci, però è innegabile che la cosa mi diverta.  Però, che mi faccia perdere un sacco di tempo, questo non posso negarlo… Potrei cavarmela con una foto a Sofia; un bel ritratto, perché no?  Seee! Come se stesse ferma un attimo, quella! Le uniche foto non mosse che ho di lei, gliele ho carpite mentre dormiva. Una forza, la bimba…

Fuori continua a nevicare. Meno, ma continua. Do un’occhiata al meteo. Prevede neve. Bella scoperta! Non occorre mica essere scienziati per capirlo… io voglio sapere quanto dura, quanta ne farà: così da potermi regolare. Consulto vari siti meteo senza riuscire a ricavarne un’indicazione comune. Sto perdendo tempo e non è il caso. Tanto vale che esca, che scatti la prima foto che mi salta agli occhi e torni subito a casa a preparare il pranzo.

Quel che succede è che vengo travolto dalla magia della neve. Il paesaggio consueto non esiste più, sostituito da questo fresco e luminoso biancore che tutto copre, pulisce, rinnova. Mi addentro in un boschetto dal quale si domina Belluno. L’idea sarebbe quella di fotografarla dall’alto, ma non è cosa: con la neve che continua a cadere la visibilità è di poche decine  di metri e le case di Borgo Piave s’intravedono appena. In compenso le mie scarpe sono già zuppe, mentre dall’alto dei rami scossi la neve mi piomba sulla testa. Qualche fiocco mi s’infila nel collo e scivola giù, gelandomi.

Decido di spostarmi in campo aperto. C’è una casa diroccata lì vicino e i campi con i monconi tranciati delle pannocchie disegnano delle belle geometrie. Preso dall’entusiasmo per quel posto magico, scatto parecchie foto. Non mi fermo finché – fotograficamente parlando – non mi impadronisco del luogo, finché non l’ho del tutto “consumato”.

Solo allora mi accorgo che è tardissimo. Per tutta la strada del ritorno penso a cosa posso escogitare per sfamare i miei ospiti e quale scusa inventare per giustificare la mia impreparazione.

–          Una pasta, vi va bene? La condiamo con del sugo d’anatra pronto.
–          Com’è, buono?
–          Scherzi? Buonissimo!

* * *

La foto di oggi non vi stupisca. Ho scelto di postare l’immagine di una piccola bacca. E’ minuscola, è vero, ma se non avessi scattato a destra e a manca per due ore e per un chilometro quadro, non sarei mai arrivato a fino lei!

Una bacca nella neve

Una bacca nella neve