#344 Mani in alto…

Oggi mi hanno fatto un regalo. Sono lì con un piede infilato nella scarpa e l’altro ancora nella ciabatta, quando squilla il telefono. C’è solo una persona che può telefonarmi a quest’ora del mattino e dunque so già chi è. Infatti, non mi sbaglio. Il mio amico, che per ragioni di privacy chiamerò Jean Paul Sartre, mi fa una proposta: “Simone ed io, stiamo creando delle unità didattiche con i ragazzi di una quinta elementare. Vorremmo documentarla con delle foto. Saresti disposto a venire in classe con noi?”. Premesso che “Simone” non è un uomo, ma “Simone de Beauvoir”, la compagna di vita di Jean Paul, la proposta mi sorprende.

In linea di massima non ho problemi, anzi, ma sono confuso, prendo tempo, faccio un sacco di domande per chiarire i termini della questione, ma nel frattempo dico a me stesso che si tratta di una opportunità da non perdere. Quando mi ricapita una proposta così? Qualche minuto dopo, per la modica cifra di zero lire, il contratto è virtualmente firmato.

Il bidello è già stato avvisato e mi accompagna in aula. Jean Paul interrompe la sua lezione per presentarmi. Dice che siamo grandi amici (e questo è vero) e che io sono un grande fotografo (e questa è una cazzata). Poi mi invita a prendere la parola. Io non so cosa dire, ma i ragazzi pendono dalle mie labbra. Qualunque cosa dica, la prenderanno sul serio.

Allora chiedo loro di far finta di niente, che continuino a fare quello che fanno di solito come se io non ci fossi. Soprattutto che non guardino me o l’obiettivo: non farò alcuna foto a chiunque mi guardi. La lezione riprende ed io mi aggiro tra i banchi studiando la luce che entra dalle finestre, ma senza scattare alcuna foto. Quando sono sicuro di essere stato dimenticato comincio il mio lavoro.

All’inizio penso solo a fotografare, ma un po’ alla volta mi faccio prendere dal clima che si respira nell’aula. Jean Paul, e Simone che lo coadiuva, sono bravi, i ragazzi ascoltano rapiti le loro parole, si vede che c’è uno sforzo di comprensione, alzano le mani quando pensano di aver capito e intervengono, quando viene data loro la parola, con l’irruenza tipica della loro età.

Mi vien da pensare a com’ero io in quinta elementare. Chi, tra i ragazzi che vedo irrequieti tra i banchi, potrebbe essere il nuovo Silfan? Per dirla diversamente e meglio: quale di questi ragazzi assomiglia di più al ragazzo che sono stato una cinquantina d’anni fa? Certo non quello spavaldo che si fa sempre avanti anche se non sa bene cosa dire, e neppure quello laggiù in fondo all’aula che sbadiglia annoiato come se quanto accade non lo riguardasse per niente.

Mi colpisce lo sguardo di un ragazzino che si distingue dagli altri per il colore più scuro della pelle. Jean Paul mi dirà poi che si tratta di un bambino marocchino arrivato in classe quest’anno e che per questo motivo fatica un po’ ad inserirsi. Qualcosa del genere era accaduto anche a me – che venivo dal profondo sud – moltissimi anni fa. Osservo i suoi occhi mobili, l’ansia, che traspare, di non rimanere indietro, e mi accorgo di fare il tifo per lui.

PS
Il mio amico Jean Paul mi ha tirato un bidone. Solo a servizio ultimato mi ha comunicato che non posso postare nel blog le foto con i volti dei bambini. Problemi di privacy, pare. Le foto devo darle a loro che ne faranno un uso didattico. Loro possono.  E io cosa ci metto nel blog di oggi? Dopo averle attentamente vagliate e scartate mi rimangono queste qui, dove i bambini sono ripresi di spalle o non sono immediatamente riconoscibili. Prevalgono le foto con le mani alzate. Meglio. Forse proprio questo gesto ripetuto mi permette di far passare un messaggio: alzate le mani, ragazzi, non siate timidi o timorosi, chiedete, intervenite, siate curiosi, partecipativi, sforzatevi di capire, pretendete che vi spieghino ogni cosa. Sforzatevi di essere, non di apparire. Scoprite il vostro talento – perché tutti hanno un talento – e il mondo, se ve ne lasceremo uno, sarà vostro.

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