#365 E’ la somma che fa il totale

Non credevo che questo giorno sarebbe mai arrivato e invece eccolo qua. Oggi è il mio ultimo giorno da aspirante fotografo. Da domani, non potendo né volendo fregiarmi del titolo di fotografo, sarò “un aspirante” e basta. Di che cosa ancora non so, ma una cosa è certa, che con la scusa del Capodanno mi farò una sbornia colossale, anzi, potrei perfino essere tentato da una nuova sfida: se avete una cantina di prosecco mettetela pure a mia disposizione. Vedo già il titolo del prossimo blog: una bottiglia al giorno, per un anno…

Certo, ci vorrà del tempo per tornare alla normalità.
Addormentarsi senza il pensiero di dove andare il giorno dopo; poter dormire finché il corpo lo richiede; risvegliarsi senza l’incubo del maltempo; fare colazioni pigre; ricominciare a fare un po’ di trekking; praticare un po’ di worldwatching (guardarsi attorno con interesse, ma in modo disinteressato); fotografare per il gusto di farlo, ma senza l’ossessione di doverlo fare ad ogni costo; bearsi del sole; aver tempo per ogni cosa; fare cose senza preoccuparsi del tempo…

Un anno fa scrivevo che avrei affrontato questa avventura consapevole dei problemi e delle difficoltà a cui sarei andato incontro. Sapevo che sarebbe stata dura, ma contavo su una grande ricompensa: speravo di diventare un fotografo migliore e magari di migliorarmi anche come persona. A un anno di distanza posso dire di avere di gran lunga sottovalutato i problemi e le difficoltà, ma penso di aver centrato entrambi gli obiettivi.

Non voglio fare l’ipocrita e quindi affermo, senza falsa modestia, di essere molto migliorato in quanto fotografo. Non era poi così difficile dal momento che in partenza ero una vera schiappa. Ma su questo aspetto, che onestamente m’interessa di meno, non vado oltre; e del resto voi siete migliori giudici di me.

Mi preme invece considerare quanto profondi siano stati i cambiamenti che questo esercizio quotidiano, questo continuo mettermi in gioco, questa necessità di superare l’asticella che io stesso ponevo sempre più in alto, hanno prodotto sul mio modo di essere e di pensare. Un anno fa, in condizioni simili, avrei spento la luce e sarei sgattaiolato via in silenzio. A distanza di un anno mi scopro invece più forte, più determinato, con un livello di autostima che non avrei mai immaginato di poter raggiungere. Un anno di psicoterapia non sarebbe stato altrettanto efficace.

Dunque ce l’ho fatta ed oggi festeggio il successo di un’impresa che non è solo mia, ma di tutti quelli che, in un modo o nell’altro, mi hanno dato una mano. Non ci sarei mai riuscito se non avessi sentito intorno a me l’interesse e l’affetto di molti. Mi piacerebbe menzionare tutte le persone che mi hanno seguito, ma sarebbe impossibile, oltre che noioso. Porgo dunque i miei ringraziamenti, in forma collettiva, a tutti coloro che mi hanno letto e sostenuto con i loro “mi piace”; a quelli che mi hanno “tirato su” quando stavo giù; che mi hanno fatto cambiare idea quando avevo deciso di mollare; a quelli che mi hanno scritto in privato; a quelli che mi indicavano posti e situazioni da fotografare; a quelli che passavano a prendermi a casa. Un grazie particolare, poi, lo devo agli amici che avevo prima di iniziare questa avventura e che non ho perso, nonostante li abbia molto trascurati. Hanno dovuto sopportare il cambiamento dei miei ritmi di vita, delle mie abitudini, dei miei interessi. Hanno saputo aspettare. Un grazie di cuore, davvero.

Ma il grazie più grande lo devo a mio figlio Lorenzo senza il quale tutto questo non sarebbe nemmeno iniziato. Cento volte l’ho maledetto per avermi messo in questa situazione, ma mille volte e per mille anni lo ringrazierò per averlo fatto. Generalmente spetta ai genitori il compito di educare e far crescere i propri figli – e chissà se sono stato all’altezza quando toccava a me – ma talvolta può accadere anche il contrario, ed è incredibilmente bello che accada.

Tutto bene, dunque? Non so, non direi, sarebbe troppo facile. Un anno è lungo. Questa esperienza è stata costellata di momenti belli, in cui mi sono sentito vivo e gratificato, ma anche da qualche momento di tristezza e solitudine. Come sempre, non è tutto oro quello che riluce. Ora è finita, mi prenderò una pausa; voglio un po’ di quiete, per riflettere, per capire cosa ho fatto, cosa sono stati per me questi trecentosessantacinque giorni. Certe cose si capiscono davvero solo a corsa finita, guardandole da lontano.

Passerà un po’ di tempo, ma poi lo so che – molto prima di quanto si possa immaginare – inevitabile arriverà la noia, e allora avrò nostalgia di questo impegno quotidiano che era, sì, un’ossessione, ma anche uno stimolo lieve e spensierato: se non temessi di esagerare, direi una ragione di vita. Ma chi l’ha detto che non debba avere altre – magari più ragionate e meno ossessive – ragioni di vita? Chiusa una partita se ne aprono altre. L’importante è non fermarsi, non crogiolarsi nel quotidiano con la testa rivolta perennemente all’indietro. Le esperienze, specie quelle che si concludono positivamente, sono uno sgabello su cui salire per porsi più in alto e guardare più lontano.

Ci saranno altri momenti, belli, brutti, ma personali e privati. Alla fine si tireranno le somme. Perché nella vita, come diceva Totò, “è la somma che fa il totale”.

20131231 20131229 210706 7508_wm decisione drastica

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
E’ inutile che ti iscrivi al blog, questo è l’ultimo post. Dovevi pensarci prima.

#364 Parola di Silfan

Penultimo giorno dell’anno. Vi state preparando per il cenone? Io no, non ho tempo. Come ogni giorno devo preoccuparmi di dove andrò a fotografare. E’ il mio chiodo fisso, oramai. Tutto il resto passa in secondo piano. Credo che continuerò a pensarci anche dopo che questa esperienza – presto, prestissimo, praticamente “domani…” – sarà definitivamente conclusa.

Quella di oggi non era una scelta facile.
Dove vai se appena esci di casa ti trovi immerso nella nebbia? D’istinto prendo la direzione di Belluno. Non mi resta che fotografare la città, penso; strade e palazzi sono fotografabili anche con la nebbia, anzi, la nebbia potrebbe renderli ancora più suggestivi, e poi c’è la gente… mi piace fotografare la gente.

E allora com’è che, all’altezza dell’Anconetta, il Vito, pur con me al volante, prende la strada per Castion? Questa è insubordinazione, un ammutinamento, ed io mi sento preso in ostaggio. Mentre ho pensieri di questo tipo, deciso a trovare uno slargo per invertire la marcia, supero una vecchia che, nella nebbia, si accinge ad attraversare la strada sulle strisce. Di colpo ci vedo una fotografia, inchiodo (per fortuna non avevo dietro nessuno), accosto e scendo con Nikotina in mano.

Nel frattempo la vecchia, che per quanto lenta è stata comunque più veloce di me, ha attraversato la strada e, lemme lemme, viene nella mia direzione. Mi sposto per trovare un punto di ripresa adatto e scatto, ma non è più la foto che avevo in mente. L’occasione è persa.

Nel frattempo, però, la voglia di Belluno mi è passata; se mi trovo su quella strada forse è un segno; di cosa non so, ma non si può sapere tutto. Così proseguo in direzione del Nevegal. Il Vito arranca, mentre io, curva dopo curva, mi aspetto di uscire dal tunnel di grigia umidità che mi avvolge.

Immagino di essere dentro una metafora. Sono sul limitare del 2013, sto percorrendo una strada in salita, immersa nella nebbia, nella speranza di scollinare e vedere la luce. Se non è una metafora questa… Decido seduta stante che se questo avverrà sarà un buon 2014, altrimenti c’è poco da fare: anche quello in arrivo sarà un anno di m*.

Be’, non so che valore attribuire al mio test, non giurerei sul suo valore scientifico, ma vi anticipo che, dopo l’ennesima curva, la nebbia d’un tratto è sparita. Se tanto mi dà tanto nel 2015 dovremmo cominciare ad uscire dalla crisi che ci attanaglia e per tutti ci sarà un raggio di sole. Parola di Silfan.

PS
Dopo essere arrivato sul piazzale del Nevegal ho preso per le Ronce e sono venuto giù fino a Tassei. Le foto di oggi sono state scattate fermandomi qua e là, lungo il percorso.

20131230 095732 7545_wm verso il nevegal

20131230 095944 7550_wm verso il nevegal

20131230 101320 7553_wm verso il nevegal

20131230 104209 7573_wm  dalle ronce

20131230 105158 7582_wm  dalle ronce

20131230 110456 7593_wm  dalle ronce

20131230 110619 7594_wm  dalle ronce

20131230 111125 7598_wm  dalle ronce

20131230 111619 7601_wm  dalle ronce

20131230 112720 7613_wm verso tassei

20131230 113640 7625_wm verso tassei

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#363 Come un pisello nel suo baccello

Non vi posso imbrogliare. Nel senso che non ci riuscirei neppure se volessi. Basta un’occhiata fuori dalla finestra per capire che le foto di oggi non sono state realizzate oggi. Questa visita a Follina risale al 17 dicembre, quando il tempo era bello ed il cielo di un azzurro che ora sembra impossibile. Sembra un secolo fa, ma sono passati soltanto pochi giorni.

Il mio amico S* P*, che Dio l’abbia in gloria, aveva insistito: “A Follina c’è un’abbazia cistercense del 1200, una cosa preziosa”.  Col tempo ho imparato a fidarmi di S* P*: se dice che vale la pena di vedere qualcosa, potete star certi che è vero.

L’abbazia ci accoglie dall’alto di una piccola collina che si eleva sul paese. Chissà perché, sono ansioso di vederla. Vi accediamo attraverso un piccolo arco sotto il quale è stata installata una stella cometa. E’ giorno e la cometa è spenta, ma ugualmente mi pare di buon augurio. Sulla destra si entra in una loggia che sovrasta un piccolo, ma grazioso giardino. Scendo per effettuare qualche ripresa perché mi pare che ne valga la pena, ma immagino quanto sarebbe bello vederlo verde e rigoglioso, in primavera o in estate.

La loggia, dalla quale si domina il giardino, la strada e la piazza sottostanti, mi colpisce per la sua struttura geometrica e per i segni che le luci allungate tracciano sul pavimento e sul muro. Scatto qualche foto, ma non vedo l’ora di entrare nel chiostro. Ho un debole per i chiostri di abbazie e conventi. Per il loro valore architettonico, certamente; ma anche per l’aria che vi si respira. Che fuori ci sia pioggia che inzuppa, o sole che cuoce, nel chiostro si è al sicuro. Non ci si infradicia né ci si scioglie.

Quei portici, ornati da colonne che ne sostengono la struttura ma lasciano passare aria e luce, sono quanto di meglio la cultura monacale sia riuscita, nel corso dei secoli, ad esprimere. Me li immagino quei frati, mentre passeggiano con il breviario in mano, mentre parlottano tra loro lodando il Signore, mentre leggono, pregano, meditano in perfetta comunione con Dio e la Natura.

Per questo la maggior parte delle foto l’ho fatta lì, giocando con la luce che trafora le colonne e si schianta sul selciato, quella stessa che regola le densità delle ombre e stabilisce la forma delle cose in aggraziati chiaroscuri. Davvero non riesco a sfuggire al fascino di queste mura che si aprono al cielo, né di quella porzione di cielo che sovrastando il chiostro sembra volersi calare dall’alto entro quelle stesse mura. “Come un pisello nel suo baccello”, direbbe un altro dei miei preziosissimi amici.

20131229 01 20131217 110906 5834_wm follina, abbazia

20131229 02 20131217 115726 5919_wm follina, giardino dell'abbazia

 

20131229 20131217 111358 5842_wm follina, abbazia

20131229 20131217 111722 5850_wm follina, abbazia

20131229 20131217 112011 5858_wm follina, abbazia

20131229 20131217 113143 5877_wm follina, basilica

20131229 20131217 113751 5885_wm follina, chiostro

20131229 20131217 113822 5886_wm follina, chiostro

20131229 20131217 114317 5896_wm follina, chiostro

20131229 20131217 114806 5906_wm follina, chiostro

20131229 20131217 115016 5911_wm follina, chiostro

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#362 Una capatina da Capa

La noia, non la cupidigia, è il vero motore della Storia. L’ho capito oggi visitando Villa Manin a Passariano di Codroipo. Da molto tempo Villa Manin viene adibita a centro internazionale d’arte. Nell’ambito di questa sua “vocazione”, in questi giorni vi si svolge una mostra delle migliori fotografie di Robert Capa.

Non vi tedierò con notizie biografiche su Robert Capa. Chi desidera approfondire l’argomento può trovare quanto gli serve su Wikipedia. Ma la cosa migliore da fare sarebbe – e ve lo raccomando – farci una capatina. Tra l’altro Villa Manin è bellissima e, anche senza la mostra, meriterebbe una visita.

Le fotografie che ho scattato oggi, con qualche eccezione, ritraggono più che altro la villa e il suo giardino. Mi sarebbe piaciuto scattare anche qualche foto alle opere esposte e, nonostante i numerosi cartelli di divieto, ho chiesto ugualmente se si poteva fotografare: l’addetto alla biglietteria ha risposto: «Possibilmente, no». Ho colto la palla al balzo: «”Possibilmente” lascia aperta una possibilità…» L’addetto ha sorriso: «Non facciamo i gendarmi», ha replicato. «Ricevuto» ho risposto io, mettendo Nikotina in on.

In realtà, dentro le sale l’illuminazione era tale da scoraggiare qualsiasi fotografo, o aspirante tale. C’erano dei bellissimi lampadari veneziani, con un sacco di pendagli a goccia, che si riflettevano nel vetro di ogni foto. Vabbe’ che siamo a Natale, ma che gusto c’è a rovinare le foto di Capa con decine di bagliori luminescenti?

Così, durante il percorso della mostra, ho fatto pochissimi scatti, e quei pochi per documentare le sale e l’ambiente. Tra una sala e l’altra ho attraversato la stanza di Napoleone Bonaparte, ed ho voluto documentare pure quella. Già, perché al termine della sua prima campagna d’Italia, Napoleone aveva alloggiato qui, a Villa Manin, che era stata fino a quel momento residenza di Ludovico Manin, ultimo doge di Venezia. C’era stato un paio di mesi nel 1797, il Bonaparte, giusto il tempo di firmare il trattato di Campoformio (o Campoformido) che poneva termine all’esperienza della Repubblica di Venezia la quale veniva ceduta all’Austria in cambio del riconoscimento della Repubblica Cisalpina. Quel voltagabbana di Napoleone!

Ed è stato lì, che mi sono reso conto di quanto noiose fossero le serate del futuro Imperatore. In quella stanza non vi era traccia di ADSL, neppure uno straccio di radio o di televisore. Sì, vabbe’, c’era Giuseppina, però… Se almeno avesse potuto aprire un proprio profilo su Facebook, avete idea di quanti amici si sarebbe fatto? Io glielo avrei messo il mio “mi piace”… E invece no, in preda alla noia non poteva far altro che giocare con i soldatini facendosi un sacco di nemici. Era inevitabile che prima o poi le cose per lui si mettessero male…

Però una immagine tra quelle esposte, stando bene attento ad evitare i riflessi, l’ho fotografata. Erano 180 le foto di Capa, tra cui le sue più famose: quella del miliziano lealista che cade ucciso con il moschetto in mano; quelle dello sbarco in Normandia e molte altre, ma ce n’era una che non avevo mai visto e che ha immediatamente catturato la mia attenzione. E’ l’ultima foto del post. Rappresenta un uomo ed una donna. Lui è un militare, ha lo zaino in spalla; lei spinge una bicicletta. Camminano fianco a fianco su una strada bianca. Probabilmente parlano tra loro. Forse lui la sta corteggiando.

In quella foto che è stata scattata in Sicilia nel 1943, in occasione dello sbarco americano, io ci vedo mio padre e mia madre. E’ così che si sono incontrati. Lui era un marinaio d’acqua dolce, addetto al deposito munizioni; lei una sartina di paese. In quell’ambiente, in quelle strade, in quella situazione, si sono scambiati una promessa e, proprio nel ’43, l’hanno mantenuta. Per fortuna, altrimenti ora non sarei qui a raccontarvela…

Che volete che vi dica: sapere che, più o meno nello stesso periodo, Robert Capa ha calpestato le stesse strade di mio padre e mia madre, che potrebbe perfino averli incrociati, è una cosa che mi emoziona e trasforma la mostra di oggi in qualcosa di particolare, che entra a far parte del mio vissuto, che non potrò scordare.

20131228 01 103947 7305_wm

20131228 02 104118 7308_wm

20131228 03 104556 7319_wm

20131228 04 104813 7326_wm

20131228 05 104647 7322_wm

20131228 06 103640 7299_wm

20131228 07 114324 7364_wm

20131228 08 114754 7371_wm

20131228 09 122943 7411_wm

20131228 10 123357 7415_wm

20131228 11 125619 7446_wm

20131228 12 113959 7358_wm

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#361 Fornesighe

Di Fornesighe non sapevo niente. Qualcuno me ne aveva parlato come di una possibile meta fotografica, ma io, preso da insondabili disegni, non ci avevo badato. Per fortuna verso metà novembre, accompagnato da due amici, ero andato a Cibiana a fotografare i murales (#318 Il dentro e il fuori). Per andare a Cibiana si passa per forza da Fornesighe, è sulla strada.

Sulla via del ritorno, quel giorno stesso avrei voluto darci un’occhiata, ma non ero solo, era ormai tardi e dovevamo tornare a casa. Mi ero ripromesso di tornare. Poi si sa come funzionano (o non funzionano) queste cose: ogni giorno ce n’è una e i buoni propositi finiscono nel dimenticatoio. Ora però, a pochi giorni dalla conclusione della mia avventura fotografica, Fornesighe mi è tornata alla mente con prepotenza.

Così, un po’ per curiosità, un po’ per non lasciare in giro dei fili in sospeso, stamattina mi sono messo in marcia sulla strada di Forno di Zoldo. Ben presto, però, ho cominciato a dubitare della bontà della mia decisione: forse avevo scelto il momento sbagliato, la pioggia che a Belluno era caduta copiosa qui si era trasformata in neve abbondante.

La strada era sgombra ma, man mano che inerpicava, lungo la carreggiata la neve accumulata sembrava aumentare in quantità e in altezza. Ogni tanto incrociavo delle auto che provenivano in senso inverso e guardavo con apprensione lo strato bianco accumulato sul tettuccio che si sfarinava ad ogni curva.

Al bivio per Cibiana un cartello indicava che il passo Cibiana era chiuso. “Fermé” era scritto in rosso. Chissà perché lo scrivevano in francese. Era chiuso solo per i francesi? E Fornesighe? Ci si arriva a Fornesighe?

Ci si arrivava. Dopo un periglioso posteggio tra un cumulo di neve e l’altro, mi sono addentrato nel paese vecchio percorrendo vicoli, risalendo scale, calpestando a tratti, io per primo, la neve di questa notte. Non potevo scegliere un momento migliore per venire a Fornesighe.

20131227 103735 7094_wmbn percorrendo fornesighe

20131227 103915 7097_wm percorrendo fornesighe

20131227 105447 7125_wm percorrendo fornesighe

20131227 105937 7135_wmbn fornesighe, gente

20131227 110508 7148_wmbn fornesighe, maschere e altri oggetti

20131227 111811 7168_wm percorrendo fornesighe

20131227 112315 7180_wmbn fornesighe, gente

20131227 112822 7206_wm fornesighe, panorama

20131227 113404 7210_wmbn fornesighe, panorama

20131227 114716 7223_wmbn fornesighe, panorama

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#360 Una storia italiana

Non è che quel tizio là, che non voglio neppure nominare, abbia il monopolio delle storie italiane. Sono storie italiane quelle di ciascuno di noi. Non occorre essere miliardari per raccontare la propria. Io, per esempio, che miliardario non sono, ma ricco sì, vi racconterò la storia molto italiana del mio Natale, che è avvenuto oggi, mica ieri come per tutti gli altri.

A costo di deludere qualche lettore, sono costretto a confessare che, dovendo scegliere, starei più dalla parte di Babbo Natale che di Gesù Bambino. Sì, lo so, il presepe, i Re Magi e la stella cometa… bello ma, in un’ottica appena un po’ meno mistica, cos’altro è il Natale se non una festa di condivisione e di incontro?

Così, siccome i miei ragazzi si liberavano oggi, per incontrarli ho spostato il Natale di un giorno. Che sarà mai! Un vantaggio per loro, che di Natali ne faranno due e si sentiranno amati un po’ più del solito per due giorni di fila…

Ma il Natale non basta evocarlo, bisogna prepararlo come Dio comanda, purtroppo appena mi sono guardato attorno ha capito che qualcosa non andava: potevo ricevere i miei ospiti – ospiti importanti come quelli – nel porcile che, anche a causa dei miei impegni fotografici, era diventata la mia casa? Assolutamente no, e dunque, di prima mattina, ci ho dato dentro di ramazza.

20131226 01 112747 6967_wm grandi pulizie

20131226 02 113228 6974_wm grandi pulizie

Alla grossa, eh! dove passa il prete, tanto per capirsi… Poi mi sono dedicato al cibo. Roba fina, mica la solita sbobba.

20131226 03 130907 6982_wm cibo

Ed eccoli qui i miei ospiti. Ve li presento:

20131226 04 165922 7053_wm lorenzo

20131226 05 171105 7070_wm stèphanie

Questi sono, rispettivamente, Lorenzo, il figlio maggiore, quello che a Novembre sono andato a trovare a Bruxelles (#312 Altre priorità – e post seguenti), e la sua compagna Stèphanie.  Lorenzo, essendo il maggiore gode dei diritti di primogenitura. Sarebbe il mio erede al trono, se avessi un trono. Purtroppo per lui sono a malapena proprietario della sedia su cui siedo, ma siccome è molto comoda, intendo difenderla con le unghie e con i denti.

Questi qui invece sono più giovani, studiano ancora, ma dovrebbero laurearsi a Trieste l’anno che viene: sono mio figlio Adriano e la sua compagna Anna.

20131226 06 165445 7046_wm adriano

20131226 07 170015 7056_wm anna

E questa la conoscete già, è Sofia, figlia di Adriano e Anna nonché, per ora, mia nipotina preferita. In questa foto sembra particolarmente commossa, sembra quasi che stia per piangere, dev’essere per l’indicibile bontà della pralina di cioccolato che tiene in mano.

20131226 08 141734 7005_wm sofia

Tacerò degli scambi di regali, del pranzo luculliano e delle chiacchiere che lo hanno costellato in quanto questi sono momenti privati del tutto simili a quelli che ciascuno di voi ha vissuto nell’ambito della propria famiglia. E passo direttamente al caffè, sovrano ordinatore di ogni digestione complicata.

20131226 09 151344 7026_wm caffè

Il resto del pomeriggio è trascorso in allegria tra giochi e reciproci cazzeggi

20131226 10 161359 7042_wm si gioca

20131226 11 183607 7073_wm si gioca

finché non è giunta l’ora di sciogliere la compagnia.
Chiusa la porta alle loro spalle, in casa è piombato il silenzio. Ma non il silenzio prodotto dalla mancanza di suoni o di rumori, ma quel silenzio particolare che indica una mancanza di presenza, ossia un’assenza di gente, di relazioni, di senso. Mi mancavano già.

Per consolarmi mi sono messo a lavare le stoviglie. Nel rumore che si produceva ad ogni collisione di piatti e bicchieri, nello sciabordio dell’acqua, avvertivo l’eco della loro visita.

20131226 12 151430 7029_wm stoviglie da lavare

 —ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#359 Tra cielo e terra

Natale 2013. La giornata meteorologicamente più brutta degli ultimi due mesi.

Piove da quando sono sveglio, ma sospetto abbia piovuto anche prima, mentre dormivo. Piove mentre faccio colazione e mi interrogo sul da farsi. Piove mentre con il Vito vado a Trichiana per comperare una stella di natale da regalare alla mia ospite. Piove mentre torno sui miei passi, allungando per Morgan in cerca di improbabili atmosfere oniriche.

Mi insegue la pioggia, insistente, incessante, snervante.

Intendiamoci. Io adoro l’acqua, purché abbia la bontà di disporsi orizzontalmente davanti ai miei occhi sotto forma di fiume, lago o mare; ma di quest’acqua verticale che picchietta dispettosa sulla mia pelata, non so proprio che farmene. E’ utile e necessaria, lo so: non ci sarebbe fiumi, laghi né  mari se non ci fossero anche nuvole e pioggia. E’ una legge naturale che capisco, ma non potrei considerarla da casa? Magari stando comodamente seduto sul divano mentre alla tv scorrono le immagini di un bel documentario sul clima? Per quale oscura ragione devo sperimentarla di persona, questa benedetta legge, mettendomi tra il cielo e la terra mentre viene giù il diluvio?

Perché gioco a fare il fotografo, ecco perché. Perché è un gioco che non posso interrompere proprio ora che mancano pochi giorni al traguardo (anche se ne avrei una voglia matta). Così oggi, anche se è Natale, tra cielo e terra sono andato a fotografare a Rio Cavalli e, poco dopo, al lago di Santa Croce. Acqua davanti agli occhi e sulla testa – piacere e penitenza insieme – mentre i piedi sviluppavano le palme tra le pozzanghere.

20131225 110853 6890_wm rio cavalli

20131225 111507 6903_wm rio cavalli

20131225 120710 6934_wm lago di santa croce

20131225 121101 6943_wm lago di santa croce

20131225 121136 6944_wm lago di santa croce

20131225 121345 6947_wm lago di santa croce

20131225 121751 6952_wm lago di santa croce

20131225 122824 6955_wm lago di santa croce

20131225 122953 6959_wm lago di santa croce

20131225 123027 6961_wm lago di santa croce

20131225 123246 6965_wm lago di santa croce

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#358 Sono single (e goloso)

Sono single. Non credo di avervelo mai detto e può darsi che non ve ne siate accorti e dunque ve lo dico ora: sono single. “E chi se ne frega”, direte voi. Giusta osservazione. Al vostro posto direi la stessa cosa. Ma non sono al vostro posto, sono al mio, ed essendo al mio la replica è semplice e persino un po’ scontata: “frega a me”.

Perché ve lo dico? Tranquilli, non è per mettere un annuncio e cercare l’anima gemella, ma per darvi conto di quanto sia complicata la vita dei single durante le feste di Natale. La mia, per esempio… Non intendo metterla sul melodrammatico né invitarvi a riflettere sulla “solitudine degli uomini primi”, quanto spiegarvi che sotto Natale “alcuni single” non hanno meno obblighi degli accasati, anzi, magari qualcuno in più, ma con una differenza: che devono “fare tutto” e “fare da soli”.

Ne consegue che, per forza di cose, oggi ho dovuto far coincidere i miei doveri natalizi con i miei obblighi fotografici. Ne è venuta fuori una ricetta illustrata, quella della mia mitica “Torta al Limone” – roba da leccarsi i baffi! – la cui ricetta mi è stata lasciata dall’ultima donna che mi ha lasciato. Spero che ora non torni a reclamarla! (Più che altro spero che non torni…)

20131224 103732 6733_wm torta al limone

Quella sopra è una panoramica degli ingredienti necessari a preparare una buona torta al limone. Ve li elenco in ordine di utilizzazione:
1 limone non trattato
3 uova
3 etti di zucchero bianco
3 etti di farina
1 bicchiere di latte
1 bicchiere di olio di semi
1 bustina di lievito
1 flaconcino di aroma limone (se ce l’avete)
zucchero a velo

Per prima cosa si lava bene il limone, lo si asciuga e se ne gratta la scorza, quindi con lo spremiagrumi si raccoglie il succo in un bicchiere e lo si mette da parte.

20131224 104829 6738_wm torta al limone

A questo punto si pesano 3 etti di zucchero bianco, li si mette in un’ampia terrina e si aggiungono 3 uova. Quindi si dà una prima mescolata.

20131224 110041 6749_wm torta al limone

All’impasto ottenuto si aggiungono i 3 etti di farina, pesati precedentemente, insieme alla scorza di limone grattugiata, quindi si versa 1 bicchiere di latte e 1 bicchiere di olio di semi

20131224 111635 6764_wm torta al limone

Dopo aver mescolato il composto aggiungete 1 bustina di lievito, un flaconcino di aroma limone (se ce l’avete) altrimenti uno o due cucchiai del succo di limone che avevate messo da parte. Rimescolate il tutto fino ad ottenere un amalgama senza grumi.

20131224 112306 6786_wm torta al limone

Mentre il forno si riscalda a 250 gradi (non è un errore, sono proprio 250 gradi!) imburrate la tortiera e cospargetela di zucchero di canna, quindi versateci il contenuto della terrina.

20131224 113133 6798_wm torta al limone

Questa cosa del burro e dello zucchero di canna non è indispensabile, io lo faccio perché adoro le cose grasse e dolci, ma voi potete farne a meno, l’importante è che quando infornate  il forno sia ben caldo alla temperatura che vi ho detto. Non andate in bagno, non uscite dalla cucina, non rispondete al telefono perché a quella temperatura la torta ci deve stare solo 10 minuti, dopo di che l’abbassate a 150 gradi per i prossimi 20 o 30 minuti. Fate la prova stecchino per vedere se è cotta.

20131224 123035 6807_wm torta al limone

A questo punto arriva una parte che per documentare fotograficamente avrei dovuto avere tre mani, o farmi aiutare da qualcuno, ma poiché, come da premessa, sono single e di mani ne ho due soltanto, proverò a descrivervela.
Cominciando dal centro della torta e procedendo a spirale verso l’esterno, si tratta di sforacchiare la torta stessa con uno stecchino. Dentro ogni buco, con un cucchiaino, fate scolare il succo di limone messo da parte in precedenza. Il limone, in pratica, deve penetrare in profondità e permeare la crosta. Continuate fino ad esaurimento del succo.

20131224 155227 6823_wm torta al limone

Alla fine i buchi saranno coperti da un leggero strato di zucchero a velo. Questo è il risultato finale. Se potete, tuttavia, non commettete il mio errore: per evitare l’effetto leopardo e soprattutto che si vedano i buchi, prima di cospargere lo zucchero a velo aspettate che la crosta della torta sia ben asciutta.

20131224 155906 6837_wm torta al limone

Ops… inavvertitamente mi è scappata la foto in cui ci sono due torte. Vabbe’, vi ho detto che sono single, ma non vi ho mica detto che sto da solo… BUON NATALE A TUTTI!

 

 

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#357 Quella del Vajont

Non oggi, ma qualche giorno fa, sono stato a Pontesei. Molti sanno di che parlo, ma per chi non lo sapesse o non ricordasse, aggiungo che non si tratta di un paese, ma di una località. Un tempo, prima che costruissero la strada che collega Longarone a Forno di Zoldo, in quel posto c’erano dei “ponticelli” – pontesei in dialetto – che permettevano di oltrepassare il luogo, caratterizzato da pendii ripidi e passaggi esposti.

A Pontesei la SADE/Enel ci aveva fatto una diga. Non così grande come quella del Vajont, ma comunque importante. La storia di queste terre è spesso anche storia di dighe, che talvolta finisce tragicamente. Quella di Pontesei, sul torrente Maè, è particolarmente significativa perché quello che vi accadde era destinato a ripetersi, quattro anni dopo, con identiche dinamiche ma con effetti molto più devastanti, sul Vajont.

Si sapeva che qualcosa stava per accadere. I rumori sordi che provenivano dalla montagna e gli alberi che cambiavano inclinazione non lasciavano dubbi: c’era un’infiltrazione che stava erodendo la base della montagna e, prima o poi, una frana sarebbe precipitata nel lago. I tecnici diedero ordine di abbassare il livello di acqua e la frana non più trattenuta dalla pressione, accelerò il passo. Era il 22 marzo 1959 – domenica delle palme – quando alle 7 del mattino una massa di terra di tre milioni di metri cubi precipitò nel bacino di Pontesei sfiorando una corriera carica di zoldani che, nonostante la festività, stavano andando al lavoro.

Arcangelo Tiziani era zoppo. Per questa sua menomazione aveva trovato occupazione come sorvegliante della diga e così ogni mattina, domenica delle palme compresa, andava da Forno di Zoldo alla diga di Pontesei in bicicletta, per il turno di guardia. Quella mattina si trovava sulla sponda opposta del lago, in sella alla sua bicicletta, nel punto preciso dove ora c’è una lapide. L’onda superò di appena un metro la stradina, ma fu sufficiente. Il suo corpo non venne mai ritrovato.  Arcangelo fu l’unico morto di quella giornata. Si sacrificò come si sacrifica un fusibile per salvare un impianto, per avvertire chi di dovere che qualcosa non va, non funziona, che bisogna rifare i conti.

C’erano fior di professionisti sul libro paga della SADE/Enel, gente intelligente, capace, che conosceva bene il proprio mestiere. Guardando le cose con il senno di poi viene da chiedersi quanto denaro deve essere passato di mano per indurli a far finta di non vedere, di non sapere, di non capire. Ma soprattutto, qual è il limite oltre il quale degli onesti professionisti diventano degli assassini?

PS
Questo post mi è venuto un po’ tristanzuolo. Perdonate, ma non so mai cosa scriverò quando comincio a scrivere. Per riequilibrare, alle foto fatte presso la diga di Pontesei, dove tirava un vento da far ghiacciare anche i pensieri, aggiungo le ultime due, scattate presso la “Trattoria Da Ninetta”, a Mezzocanale, attorno al cui “Larin” mi sono scaldato e rifocillato sotto gli occhi severi, ma non troppo, di Tina Merlin, “Quella del Vajont”.
[Un grazie particolare va ad Adriana Lotto, autrice del libro, la quale, a sua insaputa, mi ha prestato il titolo del post di oggi].

20131223 01 20131209 4523 110824_wm diga di pontesei

20131223 02 20131209 4534 111446_wm diga di pontesei

20131223 03 20131209 4577 115754_wm diga di pontesei

20131223 04 20131209 4540 111746_wm diga di pontesei

20131223 06 20131209 4569 114619_wm diga di pontesei

20131223 07 20131209 4578 115823_wm diga di pontesei

20131223 08 20131209 4505 103955_wm mezzocanale, da ninetta

20131223 09 20131209 4596 123758_wm mezzocanale, da ninetta

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#356 Era buio

Al Comunale era programmata una manifestazione natalizia. “Ecco dove potrei andare oggi”, ho pensato. Non capisco come mai, per un anno intero, non mi sia venuto in mente di fotografare l’interno di un teatro. Data la penuria di luoghi fotografabili che caratterizza questi miei ultimi giorni da blogger, l’idea ha preso subito campo.

Alla fine della scala mobile però, Nikotina, dotata ormai di volontà propria, mi era già saltata al collo. L’esperienza insegna che qualsiasi momento potrebbe essere quello giusto. E infatti eccola lì, appena fuori dalla scala mobile, la pista di ghiaccio installata apposta per questo Natale. Sapevo che c’era, ma me n’ero dimenticato.

La pista pare inserirsi bene nel contesto della piazza: sembra esserci sempre stata. Sui pattini ci vanno soprattutto i bambini, anche molto piccoli, e i loro genitori che li sorreggono e li guidano. Mi piazzo sulla palizzata pronto a registrare gli inevitabili capitomboli.

Ma devo darmi una mossa: al Comunale avranno già cominciato. E infatti arrivo buon ultimo quando in platea non c’è più neanche un posto a sedere. Poco male, non sono mica venuto per assistere allo spettacolo! Mentre l’orchestra attacca qualche nota natalizia, io mi appresto a scattare qualche foto. Ma c’è un problema: che l’intera platea è completamente immersa nel buio, un buio pressoché totale. Sembra un oceano scuro in una notte senza luna. Mi ci vuole un bel po’ di tempo per cominciare, in quel mare di teste, a intravvedere qualche forma vagamente riconoscibile.

Cerco di aiutare Nikotina come posso, ma quando la luce è scarsa non c’è compensazione che tenga. L’unica cosa che si possa fotografare è il palco il quale emerge dalla pece scura come la sala da ballo di un transatlantico.

Ma pure lì ci sarebbe da dire. Se fossi l’addetto alle luci – ma dubito che stamattina ce ne fosse uno – cercherei di illuminare il palco in modo uniforme o di illuminare i soggetti man mano che entrano in azione. Non è possibile che dei poveri bambini – tra l’altro, le voci soliste del coro – vengano disposti nella zona più buia e per di più illuminati da una luce posteriore. Ma doveva essere uno spettacolo di Natale o un film di Dario Argento?

Infastidito, esco dal teatro e mi sposto verso la piazza. Chissà perché, mi torna in mente una vecchia battuta che mi ha raccontato chissà chi e mi fa sempre molto ridere. Diceva più o meno così: “Ricordo con angoscia la prima volta che ho fatto l’amore. Era notte, era buio, ero solo”.
Ora sono pronto, e dell’umore giusto, per cercarmi qualche altro soggetto.

20131222 01 105633 6552_wm pattinaggio piazza duomo

20131222 02 105908 6568_wm pattinaggio piazza duomo

20131222 03 110048 6578_wm pattinaggio piazza duomo

20131222 04 112704 6645_wm teatro comunale

20131222 05 113144 6656_wm teatro comunale

20131222 06 113819 6668_wm teatro comunale

20131222 07 114131 6680_wm teatro comunale

20131222 08 110517 6593_wm galleria

20131222 09  115739 6707_wm piazza dei martiri

20131222 10 120035 6714_wm piazza dei martiri

20131222 11 120503 6727_wm piazza dei martiri

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#355 In un “cul de sac”

Mancano ormai pochi giorni al raggiungimento del mio obiettivo. Una foto al giorno, per un anno. Un anno è lungo anche solo a pensarlo. Un anno intero, se ce l’hai davanti, con l’obbligo di essere sempre lì, sul pezzo, è lungo da morire. Eppure, ormai, il mio anno fotografico è ormai quasi interamente alle spalle. Solo una manciata di ore mi separa dalla vittoria finale.

Eppure, ci credete? Ho una paura fottuta dei giorni che verranno. E non soltanto perché saranno giorni pieni, natalizi, e dunque colmi di distrazioni, relazioni, incontri. Tutte cose che potrebbero ostacolare, se non addirittura impedire, il conseguimento di un risultato ormai a portata di mano…

No, c’è dell’altro. C’è un pensiero, malevolo e subdolo, che s’insinua nel cervello e non  mi molla un istante. Perché l’hai fatto? Hai conseguito il risultato che ti proponevi? E se anche arriverai fino in fondo, cosa resterà? cosa si dirà di te?

Diranno che sei un matto, che potevi spendere meglio il tuo tempo, che hai buttato via un anno di vita e che, in fin dei conti, hai fatto una stronzata. Una persona normale non si comporta mica così, ergo, non sei una persona normale… Chissà che problemi avevi…chissà cosa volevi dimostrare; e a chi.

Ne consegue che, l’andare avanti, equivarrebbe ad ammettere una debolezza, una mancanza la quale, a distanza di un anno, non si è colmata. Non sarebbe più onesto, più dignitoso, arrivati a questo punto, fare una piroetta e salutare prima della fine? Sarebbe un modo per affermare: ecco, vedete, potevo farlo e non l’ho fatto, mi sono fermato prima, ma l’ho deciso io; mi sono fermato prima perché non ho proprio niente da dimostrare, a nessuno.

Direbbero che sono un matto, che potevo spendere meglio il mio tempo, che ho buttato via un anno di vita, che ho fatto una stronzata… Deja vu.

Comunque sia, mi trovo in mezzo al guado o, se preferite e continuando con i francesismi, in un “cul de sac”. Con il timore che, all’ultimo momento, mi tremi la mano e che, presa da una sorta di angoscia, la mente, indecisa a tutto, mandi tutto a remengo.

PS
Le foto di oggi in realtà le ho fatte ieri, sulla spiaggia di Jesolo. Dopo aver visitato la mostra delle statue di sabbia mi è venuta voglia di calpestare la materia prima, la sabbia appunto, e mi sono portato sulla battigia. Il mare leggermente mosso e il cielo incerto hanno fatto il resto.

20131221 20131220 01 114221 6467_wm jesolo, spiaggia

20131221 20131220 02 114706 6472_wm jesolo, spiaggia

20131221 20131220 03 114923 6477_wm jesolo, spiaggia

20131221 20131220 04 114010 6462_wm jesolo, spiaggia

20131221 20131220 05 114501 6470_wm jesolo, spiaggia

20131221 20131220 06 114736 6473_wm jesolo, spiaggia

20131221 20131220 07 114827 6475_wm jesolo, spiaggia

20131221 20131220 08 114948 6480_wm jesolo, spiaggia

20131221 20131220 09 115015 6484_wm jesolo, spiaggia

20131221 20131220 10 115049 6487_wm jesolo, spiaggia

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#354 Nell’anno zero

Ho scritto t’amo / sulla sabbia / e il vento / a poco a poco /  se l’è portato via / con se’.
Ve la ricordate? Era una canzone che è entrata nella storia della musica beat italiana. La cantavano Franco IV e Franco I. Era il ‘68. Quanti ricordi! “Formidabili quegli anni”, come ebbe a dire Mario Capanna. Quando ancora la sabbia era leggera e bastava un po’ di vento a farla volar via.

Se foste stati dove son stato io oggi, sareste d’accordo con me che le cose sono cambiate. Le parole di quella canzone non avrebbero più senso, perché la sabbia non è più la stessa: non solo non vola più via, ma si fa incidere, lavorare, scolpire, come la creta, come il marmo. E nelle mani di artisti di talento, dà vita ad opere che incantano.

A Jesolo questo miracolo si rinnova dal 2002. E’ la “Sand Nativity”, ossia la natività di sabbia. Era partito come un presepe, ma è diventato, nel corso degli anni, un’opera corale cui concorrono artisti di ogni parte del mondo. Quest’anno sono venuti dagli USA, dal Canada, dall’Olanda, dalla Russia, dall’Inghilterra, dal Belgio, dalla Germania. Vengono, impastano la sabbia come sanno fare loro, e plasmano le loro idee. Quello che rimane, quando se ne sono andati, è stupefacente.

Avete mai provato a costruire un castello di sabbia? Con la scusa di compiacere i bambini, ci abbiamo provato più o meno tutti, ma con quali risultati? Nella maggior parte dei casi il castello in questione è franato prima ancora di essere completato. Spesso lo abbiamo distrutto noi stessi, prendendolo a calci, delusi della nostra scadente creatività.

Eppure con la sabbia si possono costruire delle vere e proprie opere d’arte. Date un’occhiata alle foto di oggi che documentano la Betlemme dell’anno zero (con l’unica eccezione di un anomalo San Francesco del 1200…!) e ditemi se non ho ragione.

20131220 01 102903 6312_wm jesolo, sand nativity

20131220 02 103106 6318_wm jesolo, sand nativity

20131220 03 103602 6340_wm jesolo, sand nativity

20131220 04 103805 6348_wm jesolo, sand nativity

20131220 05 103716 6344_wm jesolo, sand nativity

20131220 06 103933 6351_wm jesolo, sand nativity

20131220 07 110355 6416_wm jesolo, sand nativity

20131220 08 110811 6424_wm jesolo, sand nativity

20131220 09 105424 6390_wm jesolo, sand nativity

20131220 11 111222 6435_wm jesolo, sand nativity

20131220 10 105940 6404_wm jesolo, sand nativity

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#353 L’hobbista cincischiatore

Con qualche brivido ancora nelle ossa, per via della “full immersion” nella galaverna di Sant’Antonio di Tortal, oggi ho pensato che non era il caso di rischiare altre trasferte. Ho dato un’occhiata al meteo: niente di buono in vista, né per oggi né per i giorni a venire. Ho consultato la mia agendina: hai visto mai che mi fossi appuntato qualche posto da andare a vedere… non che ci facessi troppo affidamento, ma non si sa mai.

E in effetti qualcosa c’era, non una vera e propria nota, ma un nome, un nome soltanto: “Artinflor”. E di colpo mi si è accesa la luce. Qualcuno tra i miei lettori più affezionati se lo ricorda? Mmm… dubito, e del resto sarebbe chiedere troppo. Fatto sta che dell’Artinflor, un’azienda florovivaistica di Trichiana, ho già parlato a fine ottobre, in prossimità della commemorazione dei defunti. Per l’occasione ero andato a fotografare i crisantemi, un fiore bello e colorato che non merita di essere associato a giorni così tristi. Questa era anche, grosso modo, la mia tesi di allora (vedi #302 Il caro estinto).

In quell’occasione, mentre ringraziando mi congedavo, Valter, il titolare dell’azienda, mi ha detto: “Se ti piacciono i colori, devi venire dopo il quindici di dicembre, ci sono le stelle di Natale, uno spettacolo da non perdere”. Aveva detto più o meno la stessa cosa dei crisantemi, ed aveva avuto ragione, perciò me l’ero segnata sul calendario.

Quando sono entrato nella serra, quest’oggi, con tutto l’ambaradan fotografico addosso, avevo paura che non si ricordasse di me. E invece mi ha riconosciuto immediatamente, ha terminato di servire un cliente ed è venuto a stringermi la mano. “Come va? Sempre a caccia di foto, eh?”. “Ancora per poco” gli faccio, “a fine mese taglio il traguardo…”. “E poi che farai?”. Accidenti, tutti a farmi la stessa domanda.

Ed io non so mai che cavolo di risposta dare. Come faccio a spiegare, a lui e agli altri, che si può star bene anche senza lavorare… Oddio, lo so, è brutto dirlo, specialmente di questi tempi che il lavoro manca e molta gente si dispera proprio a causa di questa mancanza… Ma questa, se permettete, è un’altra storia. Dopo il mio pensionamento si sono chiuse certe porte ed io cerco di aprirne delle altre, tutto qui. Un ascoltato maestro di vita, un intellettuale bellunese molto stimato, F* P* F*, una volta ha avuto l’occasione di dire: “lavora chi non ha niente di meglio da fare”.  L’ha detto ad altri, ma io ero presente e l’ho registrato. Col tempo ci ho pensato su e, per quanto possa sembrare un’affermazione paradossale, credo abbia ragione.

E allora che farò? Quello che facevo prima? Tornerò ad essere “l’hobbista cincischiatore” di un tempo? Intendiamoci, non c’è niente di male a fare l’hobbista cincischiatore, mi ci sono voluti degli anni per arrivare a questo magnifico risultato: significa fare quello che piace senza avere l’obbligo di farlo. Vi par poco? E tuttavia c’è in quel sostantivo, “cincischiatore”, un che di vago, di indeterminato, di leggero che non mi piace più come una volta.

Non credo – a meno che non mi risucchi una qualche sorta di edonismo reaganiano – che tornerò a fare quello che facevo prima. L’hobbista cincischiatore non vuole più cincischiare. Se qualcosa questa esperienza mi ha insegnato, è che non bisogna aver paura dei propri obblighi. Un obbligo da rispettare, a patto di averlo scelto con discernimento e consapevolezza, accresce l’autostima e tempra il carattere. Essere liberi non significa non avere niente da fare, o fare quello che ci pare, non significa cambiare idee e programmi sull’onda di un alito di vento, o non sentire di avere dei doveri verso qualcosa o nei confronti di qualcuno. Essere liberi significa essere padroni della propria vita, decidere cosa si vuol fare, e farlo.

A Valter, che mi aveva chiesto cosa farò dopo il 31 di dicembre, ho risposto nel modo più onesto possibile, l’unico che non tradisse le preziose indicazioni del mio amico F* P* F*: “Troverò qualcosa di meglio da fare”.

PS
Con tutte queste chiacchiere mi stavo dimenticando delle foto che poi sono l’occasione delle chiacchiere. E allora eccole qua. Valter è molto orgoglioso dei pigmenti naturali – un suo brevetto – con i quali colora le sue piante. Non sono straordinarie le sue Stelle di Natale?

20131219 01 101102 6211_wm stelle di natale di artinflor

20131219 02 100810 6200_wm stelle di natale di artinflor

20131219 03 100818 6201_wm stelle di natale di artinflor

20131219 04 105037 6282_wm stelle di natale di artinflor

20131219 05 105056 6284_wm stelle di natale di artinflor

20131219 06 103517 6256_wm stelle di natale di artinflor

20131219 07 104957 6280_wm stelle di natale di artinflor

20131219 08 105314 6288_wm stelle di natale di artinflor

20131219 08 105348 6290_wm stelle di natale di artinflor

20131219 10 105533 6293_wm stelle di natale di artinflor

20131219 11 104729 6275_wm stelle di natale di artinflor

20131219 12 102503 6235_wm stelle di natale di artinflor

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#352 Adelante Pedro…

Proprio a me, che sono l’aspirante fotografo più freddoloso del mondo, nel cui sangue si trovano tracce di terre calde e lontane, proprio a me, dicevo, doveva capitare di innamorarmi della galaverna. Ne ho già parlato qualche tempo fa (#339 Se vi piace sognare) e pensavo di aver esaurito il tema, ma ieri, sulla strada che da Sant’Antonio di Tortal arrampica fino al passo San Boldo, avevo notato un avvallamento completamente in ombra e completamente bianco. “Galaverna”, ho pensato, e m’è scappato un mezzo sorriso.

Questa mattina mi sono alzato con quel pensiero. Ok, era lì che sarei andato a scattare le foto della giornata. Ero eccitato perché non sapevo cosa aspettarmi, ma anche un po’ preoccupato. E’ una zona che non conosco, ma da quello che ho visto, c’è da scendere al torrente e costeggiarlo. Mi aspetto che ci sia del freddo, un sacco di freddo, ed io sono dannatamente freddoloso.

Sicché mi preparo per bene. Niente di particolare per quanto riguarda gli indumenti sopra la cintura, l’importante è che, oltre allo spesso giubbotto, ci siano il berretto paraorecchie, la sciarpa ed i guanti. Sotto la cintura, invece, la situazione è più problematica: è di lì che di solito mi aggredisce il freddo. Così decido che sopra le mutande e sotto le braghe indosserò dei mutandoni spessi, a gamba lunga, e per i piedi mi porterò dei calzettoni da montagna, da indossare prima di calzare gli scarponi. Ora posso anche andare, il freddo non fa più paura.

Arrivato sul posto e posteggiato il Vito, m’incammino verso il centro dell’avvallamento, verso il punto, cioè, in cui una stradina di campagna completamente coperta di bianco, incrocia il torrente Ardo. Bastano pochi passi per ritrovarsi in un ambiente assolutamente incredibile. Le infiorescenze di galaverna sono ovunque. Ogni minuscolo filo d’erba, ogni pietra, ogni siepe, ogni ramo, ogni albero, sono fagocitati dalla galaverna. E’ un altro mondo, un mondo alternativo e magico, che si può percepire appieno solo standoci dentro.

Persino a me, cui non è dato avvertire il silenzio, questa piccola silenziosa valle fa impressione. Dimentico ogni cosa, mi faccio conquistare dal bianco, dalla purezza dei cristalli, dallo splendore di questo inedito paesaggio.

E’ dunque con un senso di meraviglia che arrivo al torrente e inizio a risalirlo. Non devo camminare a lungo, bastano pochi passi per entrare in una gola e stupire nuovamente. Non mi aspettavo lo spettacolo che, all’improvviso, appare ai miei occhi. Sono felice come un bambino.
Sto percorrendo a ritroso il torrente Ardo il quale è famoso per le forre – veri e propri canyon – formatesi nel corso degli anni. C’ero già stato quest’estate, ma in un altro punto, più in basso, e ne avevo dato conto nel blog (#231 I brent de l’Art). Quello che non sapevo era che “i brent” si potessero incontrare anche in altri punti del torrente.

E’ una scoperta che mi riempie di gioia, anche perché i brent invernali sono del tutto diversi da quelli estivi. La struttura della roccia – delle placche scistose poste una sull’altra – è la medesima, ma queste sono adesso ricoperte di uno spesso strato di ghiaccio il quale, a tratti, per effetto dello sgocciolamento, sembra formare delle canne d’organo. Sarà il silenzio, sarà il ghiaccio che diventa un organo, sarà che le alti pareti della forra fanno pensare alla navata di una chiesa, fatto sta che non mi parrebbe affatto strano se, di punto in bianco, si avvertissero le note di una musica di Bach.

E invece sento un tonfo. Un rumore di qualcosa che è piombato in acqua all’improvviso, sollevando degli schizzi d’acqua non troppo distante dal punto in cui mi trovo. Mi spavento. Penso che potrebbe essere una pietra, o un blocco di ghiaccio. Che succederebbe se una pietra, o un blocco di ghiaccio, mi cadesse sulla testa e mi tramortisse, facendomi magari cadere in acqua? Sono solo, chi mi soccorrerebbe? Se anche mantenessi il controllo delle mie azioni, basterebbero pochi minuti di immersione in quell’acqua gelida, per farmi morire assiderato. Torna, più concreta che mai, la paura del freddo. Ho paura, ma nello stesso tempo sono preso dalla meraviglia per quello che vedo. Che faccio, vado avanti o batto in ritirata?

Mi torna in mente la frase che il Manzoni mette in bocca al cardinale Ferrer per raccomandare al suo cocchiere la massima prudenza: “Adelante Pedro, con juicio”.

 20131218 01 095206 5999_wm sant'antonio di tortal, brent dell'art e galaverna        

20131218 02 100505 6033_wm sant'antonio di tortal, brent dell'art e galaverna

20131218 03 101205 6048_wm sant'antonio di tortal, brent dell'art e galaverna

20131218 04 102754 6076_wm sant'antonio di tortal, brent dell'art e galaverna

20131218 05 103553 6094_wm sant'antonio di tortal, brent dell'art e galaverna

20131218 06 103655 6096_wm sant'antonio di tortal, brent dell'art e galaverna

20131218 07 105120 6123_wm sant'antonio di tortal, brent dell'art e galaverna

20131218 08 111217 6153_wm sant'antonio di tortal, brent dell'art e galaverna

20131218 09 095705 6011_wm sant'antonio di tortal, brent dell'art e galaverna

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#351 Se accadesse oggi

Il fatto, di per sé è assai semplice e si potrebbe riassumere in poche parole. Se accadesse oggi, magari a Belluno, chissà se il Gazzettino o il Corriere delle Alpi si prenderebbero il disturbo di scriverne. Nella migliore delle ipotesi, a essere ottimisti e a patto che non ci fossero notizie più importanti come un furto al supermercato o una corsa campestre, forse si potrebbe leggere qualche riga in cronaca, dopo lo sport. Se lo pubblicassero, l’articolo potrebbe essere simile a quanto segue.

E’ accaduto ieri notte. Una coppia di extracomunitari assai male in arnese: una donna di nome Maria, casalinga, e suo marito Giuseppe, dichiaratosi falegname, non avendo trovato posto in alcuno degli alberghi cittadini (ma chissà se l’avevano cercato davvero… n.d.r.), è riparata nella casupola semidiroccata del sig. *** il quale la adibiva a stalla per un bue ed un asinello di sua proprietà.  Quando il nostro concittadino, avvisato del fatto da un pastore che passava di lì con il proprio gregge, è andato alla stalla per rivendicarne la proprietà e cacciare gli intrusi, si è trovato di fronte ad un fatto inatteso. La donna, che evidentemente era incinta (anche se il marito Giuseppe ha dichiarato che lui non se n’era accorto…), aveva appena partorito un pargoletto cui è stato dato il nome di Salvatore.

Ecco quel che succede a lasciare aperte le frontiere”, ha dichiarato il sig. *** non appena il vostro redattore è giunto sul posto. “Questi extracomunitari arrivano qui senza arte ne parte, attirati dal miraggio di un lavoro che non c’è, fanno figli come conigli, tanto poi glieli manteniamo noi. E intanto il governo che cosa fa? Fa schifo, ecco cosa fa! Quelli pensano soltanto ai fattacci loro, altro che occuparsi dei nostri problemi!”.

E’ stato in quel momento che è comparsa la luce. Qualcuno doveva aver portato una torcia di quelle potenti, o effettuato un collegamento volante, fatto sta che una luce molto forte, illuminava la casupola come fosse giorno. Attirati dalla luce sono cominciati ad arrivare in tanti, per lo più poveracci, ma anche dei gran signori, chiaramente extracomunitari pure loro, ma con abiti sfarzosi, mantelli e turbanti. Il sig. *** aveva un diavolo per capello. “Cosa ci fa tutta ‘sta gente nella mia proprietà? Ve ne volete andare, si o no? O devo chiamare i carabinieri?” Parole al vento.

PS
Qualcosa del genere era accaduta duemila anni fa, non a Belluno, ma in un paesino dal nome più esotico: Betlemme, e ancora se ne parla. La vicenda, però, ancora oggi, ognuno la racconta a modo suo. Guardate, per esempio, con quanti diversi punti di vista lo stesso fatto, la nascita del bambino Salvatore, figlio di due extracomunitari indigenti, viene narrata nel paese di Mura, frazione di Cison di Valmarino. Tutte le foto, tranne l’ultima, vengono da lì. L’ultima, invece, è stata scattata qualche tempo fa a casa del mio amico Alfonso Lentini. Un altro punto di vista.

20131217 094516 5741_wm presepi di mura

20131217 094636 5743_wm presepi di mura

20131217 095359 5757_wm presepi di mura

20131217 095529 5760_wm presepi di mura

20131217 100959 5774_wm presepi di mura

20131217 101250 5780_wm presepi di mura

20131217 102539 5798_wm presepi di mura

20131217 103056 5807_wm presepi di mura

20131217 103406 5812_wm presepi di mura

20131217 103440 5813_wm presepi di mura

20131217 20131205 3884 113457_wm a casa di alfonso

 

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#350 Il conte Silfakov

Ieri vi ho parlato dei due momenti che avevano caratterizzato la mia giornata. Be’, a ben guardare, i momenti non sono stati due, ma tre. Avevo letto da qualche parte che la corsa dei Babbi Natale sarebbe passata per villa Morassutti, normalmente chiusa al pubblico, ma aperta per l’occasione.

Per questo, dopo aver assistito alla partenza, mi sono precipitato dalle parti della Cerva dove mi aspettavo di veder transitare i corridori. E così è stato. Gli organizzatori avevano predisposto un corridoio transennato che obbligava gli automobilisti a rallentare e consentiva ai podisti di immettersi in strada con sicurezza.

Sono entrato dal quel corridoio in senso inverso in modo da trovarmi di fronte agli atleti man mano che passavano. Ho fatto numerose foto, naturalmente, alcune delle quali sono finite nel post di ieri, ma per quanto apprezzassi la corsa, il mio vero interesse era costituito dalla villa in sé.

Ero curioso. Non è frequente che i giardini di villa Morassutti vengano aperti ai visitatori, e comunque io non li avevo mai visti. Infinite volte c’ero passato davanti percorrendo via Internati e Deportati, o l’avevo ammirata dalla Stazione ferroviaria, ma sempre l’avevo vista chiusa, sprangata, inaccessibile. Confesso di avere un debole per ville e castelli. Ogni volta che ne ho la possibilità, mi ci perdo molto volentieri. Chiarisco. Il parco della villa non è poi così grande, e davvero non c’è pericolo di perdersi, ma io non intendevo dire che smarrisco la strada, ma che su quelle strade, stradine, viottoli, mi ci smarrisco: è la mia testa che parte e immagina di essere altrove, di essere un altro.

Percorro i viali deserti immaginando che da un momento all’altro dalla villa esca una bella signora la quale mi vede, e mi viene incontro. “Non sapevo fosse già arrivato, conte Silfakov. L’aspettavamo. Quali nuove ci porta da San Pietroburgo? Venga, la prego, si accomodi”.

20131216 10 20131215 103631 5502_wm villa morassuti

20131216 20 20131215 110950 5596_wm villa morassuti

20131216 30 20131215 112207 5613_wm villa morassuti

20131216 40 20131215 111401 5605_wm villa morassuti

20131216 50 20131215 111452 5606_wm villa morassuti

20131216 60 20131215 103703 5503_wm villa morassuti, stazione ffss

20131216 70 20131215 103048 5487_wm villa morassuti

20131216 80 20131215 103210 5490_wm villa morassuti

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#349 Due momenti

La giornata di oggi si connotava per due momenti, uno privato, e l’altro no. Quello no, mi ha visto coinvolto in veste di fotografo. Da piazza dei Martiri, infatti, prendeva il via la mezza maratona (21 km) dei Babbi Natale. Ma c’era anche la possibilità di affrontare percorsi meno impegnativi. Quest’anno, alla partenza, c’erano 1800 persone, duecento in più dell’anno scorso. Considerando che Belluno non è New York, direi che si tratta di un ottimo risultato.

Come sempre accade per questo genere di manifestazioni, al via si sono presentati dei veri e propri professionisti per i quali il senso della corsa è uno solo: vincere. Ma questi, in proporzione, sono pochi. La maggior parte è costituita da corridori saltuari, gente che corre di rado o non corre affatto.  C’erano famiglie intere, molti bambini, padri con il primogenito da educare, madri che spingono il passeggino con l’ultimo nato.

Ciò che rende unica questa manifestazione è che tutti, per potersi iscrivere alla corsa, devono essere vestiti da Babbo Natale. C’era chi aveva preso la cosa talmente sul serio da indossare una vistosa barba bianca. C’erano perfino dei bimbi di sei-sette anni con la barba bianca.

I primi Babbi Natale li ho visti nel parcheggio del Palasport. Pochi, a dire la verità: uno qua, uno là; poi li ho visti moltiplicarsi lungo le vie che portavano in centro: gruppi dapprima sparuti, poi sempre più numerosi e consistenti; frotte allegre che spuntavano da ogni parte fino a diventare orde rosse, vocianti, disordinate, inarrestabili, destinate a comporre in un vero e proprio esercito. Un esercito di Babbi Natale.

Le foto di oggi li ritrae alla partenza e lungo il percorso. Mi spiace di non potervi dire chi ha vinto. Purtroppo, per indole personale, proprio non ce la faccio ad essere competitivo. Di ogni gara mi interessa chi partecipa, non chi arriva primo. E poi anche perché – particolare non del tutto secondario – all’arrivo non c’ero.

Più o meno all’ora di pranzo, infatti, ho dovuto piantare baracca e burattini per adempiere al secondo momento della mia giornata, quello privato. Di questo, tuttavia, non ho alcuna foto da mostrare. Però posso dirvi che c’erano un sacco di buoni amici, di quelli che insieme si torna bambini; e un menù adeguato alla bisogna.

20131215 02 094845 5320_wm babbi natale in piazza dei martiri

20131215 03 095113 5333_wm babbi natale in piazza dei martiri

20131215 04  095555 5348_wm babbi natale in piazza dei martiri

20131215 05 100241 5372_wm babbi natale in piazza dei martiri

20131215 06 094454 5307_wm babbi natale in piazza dei martiri

20131215 07 104019 5513_wm villa morassuti, corsa dei babbi natale

20131215 08 104847 5540_wm villa morassuti, corsa dei babbi natale

20131215 09 110910 5595_wm villa morassuti, corsa dei babbi natale

20131215 10 104549 5529_wm villa morassuti, corsa dei babbi natale

2013121511 093119_wm 5284 mongolfiere

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#348 Swarovski de Belun

Entra nello scintillante mondo di Swarovski, il meraviglioso marchio di lusso che da sempre fa impazzire le donne. Guarda le foto delle ultime novità.

Questa scritta spicca nel sito online della Swarovski la quale, per chi non lo sapesse – ma parlo evidentemente agli uomini – è una società con sede a Wattens nei pressi di Innsbruck, in Austria. L’azienda è specializzata nella produzione di manufatti in cristallo e deve la sua fama all’alta qualità della lavorazione e dei materiali. La materia prima viene utilizzata in diverse tipologie di prodotti: dai componenti per bigiotteria, all’ottica di precisione, dall’oggettistica per la casa, alla gioielleria.

Perché ne parlo? Perché oggi, casualmente, ho scoperto che la Swarovski copia. L’oggettistica di cui sopra, che fa tanto impazzire le donne, è copiata di sana pianta da una quantità di oggetti che esistono in natura e si possono liberamente osservare presso un campetto che si trova in via Sarajevo, nella immediata periferia di Belluno.

Non ci credete? Be’, ricredetevi. Le foto che seguono sono una testimonianza inequivocabile di quanto sto dicendo. La prima foto del post è stata scattata, personalmente da me, a Wattens nel 2006, in occasione di una visita allo spaccio aziendale. Confrontatela con le altre scattate oggi e ditemi se, di fatto, non sto pubblicando il nuovo catalogo dell’azienda austriaca…

Due parole, tratte dal sito:

Si preannuncia una stagione fredda, brillante e ricca di colori con la nuova collezione Swarovski per l’autunno-inverno 2013/2014. La maison svela i nuovi gioielli racchiusi nella linea Secret Treasures ed è davvero un fiorire di luce e colori. L’ispirazione arriva da Oriente, dalla Cina e dall’India, passando per Venezia: la maestria della casa di cristalleria si dispiega nelle creazioni e nei tagli dati al cristallo che si colora dei toni del viola, del fucsia, del rosa e del giallo in forme armoniche ma anche complesse. Il barocco veneziano e la creatività del designer francese Shourouk completano la collezione con preziosi che vi faranno brillare anche nelle giornate più grigie.

Ma quale Oriente? Quale Cina, India, Venezia? Da Belluno sono passati, dal campetto di via Sarajevo… e quanto al designer francese, be’, non mi stupirei se di nome facesse Bepi o Toni…

20131214 00 20060818_131936_060_wm Swarovski Kristalwelten

20131214 01 093402 5209_wm swarovski

20131214 02 094759 5238_wm swarovski

20131214 03 094138 5225_wm swarovski

20131214 04 094726 5237_wm swarovski

20131214 05 094011 5223_wm swarovski

20131214 06 094427 5230_wm swarovski

20131214 07 094912 5240_wm swarovski

20131214 08 095656 5257_wm swarovski

20131214 09 095129 5245_wm swarovski

20131214 10 094616 5234_wm swarovski

 

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#347 Quando sono solo

La discussione di ieri mi ha proprio divertito, ma stamattina mi sono alzato con la voglia di fare un’uscita da solo. In effetti sono combattuto da esigenze opposte. In quanto essere sociale uscirei sempre in compagnia: si chiacchiera, si scherza, magari si litiga come è successo ieri, ma il tempo passa prima e meglio. Insomma, ci si distrae. Una distrazione che tuttavia può risultare penalizzante dal punto di vista tecnico.

Ecco perché, in qualità di aspirante fotografo, mi pare di poter far meglio il mio lavoro quando esco da solo. Non devo render conto a nessuno del mio tempo, nessuno mi aspetta e dunque nessuno si spazientisce. In queste condizioni posso pensare con calma alle cose da fare, che sono molte e vanno eseguite con metodo. Per fare una foto non basta premere un pulsante!

Ho cercato di ricostruire i vari momenti – dalla prima idea allo scatto – che descrivono la realizzazione di una foto, e mi pare di poterli riassumere, più o meno, così: vado in giro con Nikotina al collo; osservo finché non mi sembra di cogliere un soggetto virtualmente interessante; osservo la sua forma, penso alla luce che lo colpisce, alle ombre, ai colori. E’ a questo punto che dentro di me scatta “il bisogno” di fare, o di non fare, una determinata foto.

Nella mia testa si forma “un’idea di inquadratura” per la quale sarebbe opportuna una certa profondità di campo; di conseguenza scelgo l’obiettivo e, se necessario, mi sposto quel tanto che basta dal punto in cui mi trovo. Questa è la fase più pericolosa e delicata, almeno per il vostro aspirante fotografo. Quella nella quale dovrei essere maggiormente presente a me stesso. Purtroppo, a causa di una molteplicità di fattori che riconducono tutti alla mia dabbenaggine, ho sviluppato la tendenza ad indietreggiare senza controllare dove metto i piedi, e questo fatto a volte comporta delle conseguenze nefaste – come ben sa chi mi segue – per la mia incolumità personale.

Se riesco a non inciampare in una pietra o in una radice, a non mettere il piede dentro una buca o nell’acqua, a non precipitare in uno strapiombo o un dirupo, allora, oltre a mettere un cero alla Madonna, posso concentrarmi sulla combinazione tempo-diaframma più adeguata per la foto che ho in mente. Non resta che puntare l’obiettivo, scegliere l’inquadratura migliore (forse la cosa più difficile), mettere a fuoco e scattare.

Non è incredibile che io riesca a fare tutto questo senza incasinarmi?

Fare una foto è un atto complesso che implica una quantità di scelte – giuste o sbagliate che siano – che influiscono sul risultato finale.
Per questo, quando sono solo, mi esercito a fare ogni cosa con calma, riflettendo, indugiando, scegliendo con apparente raziocinio. Sbaglio lo stesso, ma almeno sbaglio con metodo! La lentezza poi, oltre che un mio innegabile dato del carattere, mi pare essenziale per costruirmi delle abitudini di scatto, per arrivare in seguito a fare le stesse operazioni rapidamente, automaticamente, senza pensarci o quasi; perché così fanno i fotografi. Quelli veri.

PS
Oggi avevo delle compere da fare e di conseguenza dovevo rimanere in zona. Su suggerimento della mia amica, sono andato alle fontane di Nogarè, una zona umida, un vero e proprio ecosistema fluviale dove la combinazione di risorgive naturali e rami collaterali del Piave, influisce in modo significativo sulla biodiversità di vegetazione e animali. Ecco le foto di questa mattina.

20131213 101632 5088_wm fontane di nogarè

20131213 102457 5098_wm fontane di nogarè

20131213 105721 5123_wm fontane di nogarè

20131213 110217 5127_wm fontane di nogarè

20131213 112246 5157_wm fontane di nogarè

20131213 113038 5165_wm fontane di nogarè

20131213 113955 5173_wm fontane di nogarè

20131213 114342 5181_wm fontane di nogarè

20131213 114757 5184_wm fontane di nogarè

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#346 La discussione

Avevo cominciato, poco meno di un anno fa, pubblicando una fotografia al giorno. Anche i testi che l’accompagnavano erano striminziti, ridotti all’osso. Poi, con l’andare del tempo, per contrastare la noia, per sperimentare qualche modesto brivido, vedendomi seguito da un numero sempre maggiore di amici, mi sono allargato. Anche troppo, probabilmente.

In queste ultime settimane sono arrivato a pubblicare dalle sette alle dodici fotografie al giorno e il commento quasi mai si limita ad una semplice didascalia. Perché? Se lo sapessi ve lo direi. In questo momento e finché dura la corsa, sono l’ultima persona in grado di valutare con obiettività “il senso” di quello che sto facendo.

A questo punto del gioco sono come il leone e la gazzella della savana. Nessuno dei due sa perché, ma tutti e due, al risveglio, sanno di dover correre. A dir la verità, all’inizio dell’anno mi sentivo più leone, ora che l’anno sta per finire mi sembra piuttosto di essere gazzella. Ad ogni modo, al risveglio, so che devo mettermi a correre.

Non sempre, per fortuna, corro da solo. Ogni tanto qualche anima buona mi accompagna. Oggi, per esempio, mi ha accompagnato un’amica, con la quale ho condiviso la trasferta. Il tempo passa meglio quando si è in compagnia. Si comincia dandosi conto delle novità reciproche; si continua raccontandosi quello che si sta facendo e quello che si vorrebbe fare; si spettegola un  po’ di questo e di quello e, spesso, si finisce per litigare.

Anche litigare è un modo di passare il tempo. Se poi i soggetti in questione si dichiarano di sinistra , be’… allora la discussione è quasi inevitabile. A patto di non metterci cattiveria – e non è il nostro caso – discutere è un modo di raccontarsi. Senza contare che il tempo vola, e si va più lontano.

Oggi, come raccontano le foto, abbiamo fatto un bel giro. La corsa doveva portarci, attraverso la Valcellina, a Barcis, in Friuli. La prima sosta l’abbiamo fatta, per dovere ma anche per piacere, sulla zona della diga e, poco dopo, ad Erto. Sotto di noi, nella valle del Vajont, un’esile nebbiolina si accompagnava a una luce magica che conferiva maggior risalto alle cime degli abeti.

E tuttavia siamo ripartiti quasi subito perché dovevamo riprendere la discussione, la quale ci ha impegnato fin dopo Cimolais e lungo il corso del Cellina. Una piccola deviazione in corrispondenza del Rio Ferron, ci ha obbligato ad interromperla, ma appena possibile l’abbiamo ripresa e portata avanti finché non siamo arrivati a Barcis, dove si è finalmente conclusa di fronte ad un piatto di gnocchi.

Sulla strada del ritorno il menù è stato più o meno lo stesso. Nel senso della discussione, non degli gnocchi. Fosse dipeso da noi, un paio di partiti li avremmo sciolti, avremmo tolto il diritto di voto una metà circa degli italiani e fatto pagare le tasse ai furboni di tre cotte che non le pagano. Si tratta di un programma di massima, s’intende… Per i dettagli ci troveremo un’altra volta.

Era pomeriggio inoltrato quando sono arrivato a Belluno. Il sole stava tramontando dietro San Pellegrino. Non ho resistito ed ho scattato l’ultima foto della giornata.

20131212 105152 4927_wm vajont

20131212 111540 4947_wm da erto

20131212 111647 4949_wm erto

20131212 112725 4960_wm erto

20131212 122311 4996_wm rio ferron

20131212 124622 5005_wm cellina

20131212 141945 5026_wm lago di barcis

20131212 143237 5035_wm verso andreis

20131212 164452 5079_wm tramonto a san pellegrino

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#345 Il bosco dei Silvani

Mi piacerebbe molto raccontarvi di esserci capitato per caso. Qualcosa del tipo: “passavo da quelle parti in tutt’altre faccende affaccendato quando, buttando l’occhio, ho visto questa cosa qui e l’ho fotografata per voi”. Mi piacerebbe, ma non sarebbe credibile. In realtà, la trasferta di oggi era stata programmata da tempo, e aspettavamo, il mio amico Silvano ed io, soltanto l’occasione buona per andarci. La Val di Sella l’abbiamo trovata facilmente, ma individuare il punto d’inizio del percorso che volevamo fare, non è stato facile.

Tesissimi, con lo sguardo acchiappa cartelli, guardavamo a destra e a sinistra della strada. Ogni tanto leggevamo un’indicazione che ci faceva ritenere di essere quasi arrivati ma, curva dopo curva, si continuava a salire senza che si arrivasse mai. Quando abbiamo letto: “parcheggio 8 – ultimo parcheggio” abbiamo pensato che ormai era fatta, ma una volta scesi dall’auto ci siamo trovati in un deserto. Nel senso che non c’era anima viva. Intorno a noi solo alberi e la strada dalla quale eravamo venuti che proseguiva verso l’alto. E il cartello inequivocabile e vagamente minaccioso che ingiungeva di abbandonare l’auto.

Non restava che salire a piedi. Dopo un po’ che arranchiamo scorgiamo una coppia, un uomo e una donna che ci precedono di un centinaio di metri. Acceleriamo il passo e quando siamo ad un tiro di voce chiamiamo: “Ehi!” Quelli ci sentono, si fermano e ci aspettano.

Chiediamo loro se sanno dove inizia il percorso “Artenatura”. “Speravamo ce lo diceste voi”, replicano. Be’, allora! Loro, almeno, una cartina ce l’hanno… Decidiamo di studiarla insieme. L’inizio del percorso probabilmente l’abbiamo già passato senza accorgercene. Ci conviene andare fino a Malga Costa e lì decidere il da farsi. Insomma concludiamo quello che era ovvio fino dal principio: che bisogna continuare a salire a piedi.

Strada facendo ci presentiamo. Piacere Silvano. Silvano, piacere. Oh, che strano, anch’io mi chiamo Silvano. Anch’io. Anch’io. E giù tutti a ridere. Tre uomini, tre Silvani. E la donna? No, lei si chiama Lidia, ma per semplicità, decidiamo lì per lì di chiamarla Silvana.

Questa strana combinazione ci mette tutti di buon umore e in un baleno si diventa amici. Tra una chiacchiera e l’altra, la strada fino a Malga Costa si fa breve.

A Malga Costa inizia un percorso circolare che si addentra nel bosco. Ma non siamo venuti fin qui per fare una passeggiata, bensì per ammirare le installazioni create da artisti di ogni parte del mondo e lasciate qui, tra gli abeti e le latifoglie di questo bosco “silvano”. E’ stupefacente scoprire fin dove può arrivare la fantasia e la creatività umana quando la si lascia libera di esprimersi. Utilizzando materiali poveri quali il legno in tutte le sue possibili forme, ma anche barattoli, pietra, carta, degli uomini speciali hanno realizzato delle opere speciali che ci lasciano stupefatti. Ma il nostro più grande divertimento consisteva nel chiamarci l’un l’altro: “Silvano hai visto questo?”. – “Silvano, vieni qui, guarda quest’altro.”. – “E questo qui? Silvano, che te ne pare?”.
Il bosco era nostro, oramai: il bosco dei Silvani.

20131211 4774 110447_wm valle di sella, area malga costa

20131211 4787 112539_wm valle di sella, area malga costa

20131211 4794 113015_wm valle di sella, area malga costa

20131211 4798 113403_wm valle di sella, area malga costa

20131211 4804 114116_wm valle di sella, area malga costa

20131211 4812 114339_wm valle di sella, area malga costa

20131211 4822 114825_wm valle di sella, area malga costa

20131211 4841 120222_wm valle di sella, area malga costa

20131211 4853 121102_wm valle di sella, area malga costa

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#344 Mani in alto…

Oggi mi hanno fatto un regalo. Sono lì con un piede infilato nella scarpa e l’altro ancora nella ciabatta, quando squilla il telefono. C’è solo una persona che può telefonarmi a quest’ora del mattino e dunque so già chi è. Infatti, non mi sbaglio. Il mio amico, che per ragioni di privacy chiamerò Jean Paul Sartre, mi fa una proposta: “Simone ed io, stiamo creando delle unità didattiche con i ragazzi di una quinta elementare. Vorremmo documentarla con delle foto. Saresti disposto a venire in classe con noi?”. Premesso che “Simone” non è un uomo, ma “Simone de Beauvoir”, la compagna di vita di Jean Paul, la proposta mi sorprende.

In linea di massima non ho problemi, anzi, ma sono confuso, prendo tempo, faccio un sacco di domande per chiarire i termini della questione, ma nel frattempo dico a me stesso che si tratta di una opportunità da non perdere. Quando mi ricapita una proposta così? Qualche minuto dopo, per la modica cifra di zero lire, il contratto è virtualmente firmato.

Il bidello è già stato avvisato e mi accompagna in aula. Jean Paul interrompe la sua lezione per presentarmi. Dice che siamo grandi amici (e questo è vero) e che io sono un grande fotografo (e questa è una cazzata). Poi mi invita a prendere la parola. Io non so cosa dire, ma i ragazzi pendono dalle mie labbra. Qualunque cosa dica, la prenderanno sul serio.

Allora chiedo loro di far finta di niente, che continuino a fare quello che fanno di solito come se io non ci fossi. Soprattutto che non guardino me o l’obiettivo: non farò alcuna foto a chiunque mi guardi. La lezione riprende ed io mi aggiro tra i banchi studiando la luce che entra dalle finestre, ma senza scattare alcuna foto. Quando sono sicuro di essere stato dimenticato comincio il mio lavoro.

All’inizio penso solo a fotografare, ma un po’ alla volta mi faccio prendere dal clima che si respira nell’aula. Jean Paul, e Simone che lo coadiuva, sono bravi, i ragazzi ascoltano rapiti le loro parole, si vede che c’è uno sforzo di comprensione, alzano le mani quando pensano di aver capito e intervengono, quando viene data loro la parola, con l’irruenza tipica della loro età.

Mi vien da pensare a com’ero io in quinta elementare. Chi, tra i ragazzi che vedo irrequieti tra i banchi, potrebbe essere il nuovo Silfan? Per dirla diversamente e meglio: quale di questi ragazzi assomiglia di più al ragazzo che sono stato una cinquantina d’anni fa? Certo non quello spavaldo che si fa sempre avanti anche se non sa bene cosa dire, e neppure quello laggiù in fondo all’aula che sbadiglia annoiato come se quanto accade non lo riguardasse per niente.

Mi colpisce lo sguardo di un ragazzino che si distingue dagli altri per il colore più scuro della pelle. Jean Paul mi dirà poi che si tratta di un bambino marocchino arrivato in classe quest’anno e che per questo motivo fatica un po’ ad inserirsi. Qualcosa del genere era accaduto anche a me – che venivo dal profondo sud – moltissimi anni fa. Osservo i suoi occhi mobili, l’ansia, che traspare, di non rimanere indietro, e mi accorgo di fare il tifo per lui.

PS
Il mio amico Jean Paul mi ha tirato un bidone. Solo a servizio ultimato mi ha comunicato che non posso postare nel blog le foto con i volti dei bambini. Problemi di privacy, pare. Le foto devo darle a loro che ne faranno un uso didattico. Loro possono.  E io cosa ci metto nel blog di oggi? Dopo averle attentamente vagliate e scartate mi rimangono queste qui, dove i bambini sono ripresi di spalle o non sono immediatamente riconoscibili. Prevalgono le foto con le mani alzate. Meglio. Forse proprio questo gesto ripetuto mi permette di far passare un messaggio: alzate le mani, ragazzi, non siate timidi o timorosi, chiedete, intervenite, siate curiosi, partecipativi, sforzatevi di capire, pretendete che vi spieghino ogni cosa. Sforzatevi di essere, non di apparire. Scoprite il vostro talento – perché tutti hanno un talento – e il mondo, se ve ne lasceremo uno, sarà vostro.

20131210 01 4611 091425_wm

20131210 10 4677 093226_wm

20131210 20  4689 093702_wm

20131210 30 4674 093113_wm

20131210 35 4752 095847_wm

20131210 40 4724 094858_wm

20131210 50 4736 095313_wm

20131210 70 4738 095509_wm

20131210 80 4690 093735_wm

20131210 90 4691 093752_wm

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#343 La centrale

Per motivi che non è importante riferire mi son trovato ieri mattina a Soverzene. Una volta compiuta la mia missione, si poneva il problema di dove andare a fare le foto. La cosa più ragionevole, quando il caso, la vita o chi per essa mi portano fuori zona, è guardarmi attorno e cercare nei pressi qualcosa di fotografabile.

Ovviamente, la prima cosa che ho visto dopo aver parcheggiato il Vito, è stata la centrale elettrica. Impossibile non vederla: è un impianto di una certa rilevanza, ci si passa davanti una volta superato il ponte e prima di arrivare in paese. Diciamo che è “centrale” di nome e di fatto…

Non capisco a cosa servano tutti quegli “ammennicoli” posti al di fuori dell’edificio. Qualsiasi fabbrica disporrebbe i suoi impianti all’interno del perimetro aziendale; la centrale invece no, quasi a significare che non si tratta di una “fabbrica” come tutte le altre, espone un intrico di aste, torrette, cabine, collegate tra loro da una rete di tubi e cavi che, se non fossero funzionali ad un disegno, ad un progetto, se non avessero cioè uno scopo preciso – che a me sfugge (ma quante cose mi sfuggono…) –  potrebbero essere scambiate per una creazione artistica; “un’installazione”, come si usa dire ora quando si voglia fare riferimento all’opera di qualche artista contemporaneo.

E, in effetti, la “centrale” qualcosa di artistico, a suo modo ce l’ha, tanto che ci scappa pure la foto:

20131209 20131208 4341 094951_wm soverzene

Nel frattempo, mi viene in mente che da queste parti ci dev’essere un sentiero che aggirando il monte, costeggia il Piave. Lo so perché, l’anno scorso l’avevo percorso, in compagnia di amici, provenendo, però, dalla direzione opposta. Non è stato facile trovare l’imboccatura del sentiero. Ci sono riuscito solo al terzo tentativo, e sì che Soverzene non è New York!

Quando il mio primo sentiero inizia ad arrampicare su un ripido pendio che porta a monte, mi viene il sospetto di aver sbagliato strada, e torno sui miei passi. Scendendo verso il Piave incrocio quello che ha l’aria di essere il sentiero giusto e comincio a percorrerlo, ma quando mi ritrovo, frustato dalle ramaglie, a dovermi districare da un groviglio di liane, capisco di aver sbagliato un’altra volta.

Il sentiero giusto era, come ho detto, il terzo, camuffato da ingresso di un cantiere. Sono diabolici gli abitanti di Soverzene: pur di tener lontani “foresti” e potenziali scocciatori, sono disposti a qualunque trabocchetto! Ma io non demordo e, dopo essermi specchiato nel canale che vedete,

20131209 20131208 4342 100541_wm soverzene

arrivo finalmente nel posto che ricordavo e che avevo intenzione di fotografare. Si trova proprio a ridosso della centrale. Si tratta di un laghetto formato dalla confluenza di acque passate per la centrale, le quali, dopo aver prodotto energia azionando delle grandi turbine, vengono restituite all’alveo attraverso torrentelli, canali, condotte più o meno forzate. Una di queste fa sgorgare l’acqua direttamente dal ventre della montagna, formando una cascatella che suona piacevole al mio orecchio. Il luogo è ameno e mi fermo a scattare quel che rimane del mio rullino virtuale.

20131209 20131208 4425 110520_wm soverzene

20131209 20131208 4355 101243_wm soverzene

20131209 20131208 4370 102336_wm soverzene

20131209 20131208 4392 104110_wm soverzene

20131209 20131208 4403 104914_wm soverzene

20131209 20131208 4422 110015_wm soverzene

20131209 20131208 4431 111044_wm soverzene
—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se gli articoli o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#342 Castelbrando

Ieri vi ho parlato di Cison di Valmarino per via dei mercatini di Natale, ma la cittadina serba un’altra chicca, un vero e proprio tesoro nascosto. Nascosto per modo di dire: per vederlo è sufficiente alzare la testa e per arrivarci basta prendere la comoda cremagliera che si inerpica sulla collina.

Imponente eppure elegante, il castello di Castelbrando, che domina Cison, ha origini molto antiche. Pare che il primo nucleo risalga addirittura ai tempi delle invasioni barbariche. Dopo essere stato occupato dai Goti, dai Longobardi, dai Franchi, fu dei Romani. Poi, con la caduta del Sacro Romano Impero, il castello pervenne ad alcune signorie locali.

Nel corso della sua storia, cambiò più volte proprietà e destinazione d’uso, ma io non sono uno storico e dunque non la faccio tanto lunga. Non è compito mio ricostruire per filo e per segno i vari passaggi. Quello che mi interessa mettere in evidenza è che le mura di Castelbrando, nel corso della loro storia, ne hanno viste di cotte e di crude. Ultimamente erano in mano ai Salesiani, che le avevano trasformate in seminario e luogo di ritiro.

Alla fine il castello è stato acquistato da un imprenditore di successo, tale Massimo Colomban, che ha investito tutti i suoi averi in un’operazione di restauro, promozione e recupero. All’interno del complesso oltre all’hotel con le sue lussuose camere, si trovano un ricercato ristorante, una pizzeria, nonché diverse sale per ospitare meeting, convegni, congressi, ecc…

Pensavo che avrei visto il solito baccanale acchiappa-turista dove tutti vendono di tutto e invece sono rimasto sorpreso dalla sobrietà e dall’eleganza degli interventi effettuati.  I restauri non danno nell’occhio, non si incontrano pacchianerie evidenti, segno della presenza di una regia attenta che ha cercato di rinnovare le funzioni dei locali senza alterare le caratteristiche originali dei luoghi.  Decisamente un bel restauro nel bel mezzo delle colline del prosecco. E dall’alto si gode di una vista incantevole su Cison, Follina e l’intera Vallata. E’ quello che ho cercato di documentarvi con le foto di oggi.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131208 01 20131207 4139 103304_wm castelbrando

20131208 02 20131207 4161 104610_wm castelbrando

20131208 03 20131207 4147 103620_wm castelbrando

20131208 04 3520131207 4165 104923_wm castelbrando

20131208 05 20131207 4153 103949_wm castelbrando

20131208 06 20131207 4193 111333_wm castelbrando

20131208 07 4520131207 4200 111732_wm castelbrando

20131208 08 20131207 4213 114548_wm castelbrando

20131208 09 20131207 4163 104753_wm castelbrando

20131208 10 20131207 4185 105751_wm castelbrando

20131208 11 20131207 4175 105351_wm castelbrando

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#341 La vanità delle donne

Avevo appuntamento con il mio amico S* P* a Cison di Valmarino. L’idea era stata sua. “Inizia il mercatino di Natale”, aveva detto. “Ma mercatini se ne fanno dappertutto, anche a Belluno c’è il mercatino…” avevo ribattuto. “Vero”, aveva ammesso, “ma questo è particolare, non ci sono le casette prefabbricate e il mercatino si svolge nei cortili, o al coperto di stalle e vecchi edifici riadattati”. Mi aveva incuriosito e sono andato. Passato il passo San Boldo, il più sembrava fatto.

Cison ci aspettava, inondata da uno splendido sole. Era il primo giorno, e alle dieci del mattino non c’era la folla che sarebbe arrivata più tardi, nel primo pomeriggio. Mi sembrava la condizione ideale per visitare gli stand ed effettuare qualche scatto.

Gli espositori ancora di affaccendavano per disporre al meglio la loro mercanzia. Tra loro ho individuato una conoscente bellunese che gestiva uno stand di cappellini per signora. Ho chiesto se li faceva lei, e lei mi ha guardato come se non avesse capito la domanda. “Certo che li faccio io” ha risposto sostenuta, ”li penso, li disegno e li realizzo artigianalmente, uno per uno”. Poi si è lasciata andare ad un sorriso: “Sono tutti figli miei”, ha aggiunto. Quindi mi ha abbandonato per seguire una cliente.

Per un po’ sono stato a vedere. La cliente era incontentabile: ne avrà provati dieci, di cappellini, ma non perché non le piacessero, al contrario, perché le piacevano troppo. Ad ogni prova correva a guardarsi allo specchio, si osservava per qualche istante, poi si sorrideva, compiaciuta del proprio aspetto. Sono andato via che ancora provava. Ah! la vanità delle donne! Quanto sono diverse da noi e noi da loro ma, forse proprio per questo: quanto sono adorabili! Potremmo farne a meno…? Come si fa, come sembrano indicare anche alcune delle foto di oggi, a non amarle?

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131207 4221 120507_wm cison di valmarino

20131207 4239 122352_wm cison di valmarino

20131207 4243 122511_wm cison di valmarino

20131207 4256 122810_wm cison di valmarino

20131207 4267 123550_wm cison di valmarino

20131207 4270 123904_wm cison di valmarino

20131207 4306 143553_wm cison di valmarino

20131207 4323 144403_wm cison di valmarino

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#340 Conferme

Se questa mattina non avessi finito la bombola, avrei postato foto diverse da queste. Invece, proprio sul più bello, proprio mentre sto preparando la colazione, la fiamma si affievolisce fino a spegnersi del tutto.

Volevo fare un salto nello zoldano, che non è lontano, ma non è neppure ad un tiro di schioppo: ci vuole il suo tempo per andarci. E’ un piccolo viaggio, ed io ho bisogno di prepararmi mentalmente quando devo fare un viaggio, per quanto piccolo.

Perché viaggiare non significa soltanto trasferire il proprio corpo da un posto ad un altro utilizzando un qualche mezzo di locomozione. No, viaggiare significa predisporsi a guardare ed ascoltare, per essere poi capaci di vedere e intendere. Chi parte per un viaggio senza essere pronto, ricettivo, aperto, vede solo quello che vuol vedere, capisce solo quello che già sa o crede di sapere. Ma andare in giro così è una cosa da bambini, come quando da bambini, per l’appunto, ci bendavamo gli occhi per giocare a mosca cieca.

Era divertente inseguire chi ci scappava da sotto il naso punzecchiandoci e, una volta preso, tentare di riconoscerlo al tatto. Anche quello, a suo modo, era un piccolo viaggio poiché le finalità, a pensarci, sono le medesime. In entrambi i casi cerchiamo di uscire dal buio – causato da una benda provvisoria o da un’intima insicurezza – e aspiriamo a conoscere o riconoscere, distinguendo ciò che è uguale da ciò che è diverso per stabilire l’identità di chi ci circonda e quella delle persone e dei popoli che incrociamo. Pur sapendo che, alla fine, l’identità più preziosa, quella che vogliamo davvero conoscere e tutelare, è pur sempre la nostra.

Il viaggio, per quanto piccolo, significa questo: la possibilità di riconoscersi o meno nelle persone che si incontrano, di capire il senso dei luoghi, di ricostruire dentro di sé quello che si vede, insomma di mettersi in gioco, di “confrontarsi” e, in ultima  analisi, di svelare noi stessi a noi stessi.

PS
Dopo aver messo in opera la bombola ed aver fatto colazione – anche la colazione è un valore da non sottovalutare – era ormai troppo tardi per mantenere il programma iniziale. Ho ripiegato dunque su un viaggio piccolo piccolo e ultra consueto: sono andato a Belluno. Ma la metafora del viaggio regge ancora: perché a volte si viaggia per scoprire e altre volte per avere delle conferme. Si potrebbe aprire un altro post su questo punto, ma non mi pare il caso. Le mie conferme di oggi, sono tutte in queste foto.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131206 3928 101302_wm belluno panoramica

20131206 3965 104523_wm belluno, piave

20131206 3977 105658_wm belluno, piave20131206 3979 105953_wm belluno, borgo piave

20131206 3987 110215_wm belluno, borgo piave

20131206 4006 111100_wm belluno, borgo piave20131206 4011 111720_wm belluno, borgo piave

20131206 4072 115730_wm belluno, via santa croce

20131206 4090 121034_wm belluno, borgo piave

 

20131206 4099 121121_wm belluno, borgo piave

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#339 Se vi piace sognare

Fino a qualche tempo fa non sapevo neppure cosa fosse “la galaverna“, poi qualcuno, non ricordo chi, me ne ha parlato. Si tratta di un fenomeno fisico assimilabile, per certi versi, a quello che produce la brina, ma si manifesta con modalità differenti. Mentre la brina è il risultato del congelamento dell’umidità notturna e avviene a livello del terreno, la galaverna è la conseguenza di una nebbiolina diffusa composta da minuscole gocce d’acqua sospinte da una brezza gelida e leggera. In queste condizioni, quando la temperatura va sotto lo zero, le goccioline non ghiacciano subito, ma si depositano sugli alberi, sui rami, sulle foglie, congelando lentamente e formando cristalli aghiformi estremamente fragili. Basta uno scossone per farli cadere.

Quando il fenomeno non riguarda una singola pianta, ma una zona, un bosco, un habitat più o meno vasto, allora, se si ha la fortuna di esserci, si avverte qualcosa di magico. Tutti hanno fatto l’esperienza di trovarsi in mezzo alla neve, e ognuno sa quanto l’atmosfera che si crea possa essere particolare e, a volte, meravigliosa, ma qui la meraviglia è moltiplicata per cento. L’occhio si perde in un mare di cristallo. Ogni ramo, ogni foglia, ogni filo d’erba, se ne adorna e impreziosisce, e la luce riverbera di bagliori inusitati. La sensazione è quella di vivere una fiaba. Di essere “dentro” la fiaba. Da un momento all’altro – a seconda dello stato d’animo – ti aspetti che appaia il lupo cattivo dal quale scappare, o la fatina buona a liberarti da ogni paura. E la mente ritorna, per qualche istante, alle storie magnifiche e terribili ascoltate da bambino, attorno al fuoco, mentre fuori imperava il gelo.

Purtroppo dura poco, quell’istante. Giusto il tempo di renderti conto che sei dentro un bosco dove ogni singolo minuscolo rametto è avvolto da aghi di ghiaccio; che tutto intorno a te è ghiaccio puro. Bellissimo, ma… Dopo un po’ ti senti come se ti avessero chiuso in un congelatore. Quando hai l’impressione che la galaverna ti si stia formando addosso; quando le foto che fai ti vengono mosse perché non riesci ad impedirti di tremare; ecco, quello è il momento di uscire, raggiungere l’auto e far andare il riscaldamento al massimo.

Pian piano il gelo se ne va e il sangue torna a scorrere, ma il sogno, se vi piace sognare, rimane.

PS
La galaverna di oggi, in realtà, l’ho fotografata ieri, dopo aver realizzato il servizio sul Santuario dei Santi Vittore e Corona. Proprio ai piedi del santuario, oltre la strada che porta a sud, c’è un angolo che non vede mai, o quasi mai, la luce del sole. Il posto ideale per questo genere di cose.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131205 01 20131204 3783 114008_wm anzù, la galaverna

20131205 02 20131204 3776 113329_wm anzù, la galaverna, panorama

20131205 03 20131204 3873 123927_wm anzù, la galaverna

20131205 04 20131204 3850 121901_wm anzù, la galaverna

20131205 05 20131204 3836 121230_wm anzù, la galaverna

20131205 06 20131204 3851 121917_wm anzù, la galaverna

20131205 07 20131204 3809 115335_wm anzù, la galaverna

20131205 08 20131204 3803 115137_wm anzù, la galaverna

20131205 09 20131204 3794 114611_wm anzù, la galaverna, abbazia vittore e corona

 —ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#338 Corre voce

Sono partito alla Jack Kerouac, suggestionato dal suo romanzo più celebre: “On the road”, del ’51. Un romanzo importante. Un vero cult per quelli che hanno più o meno la mia età, e non solo. Io, allora, l’avevo letto in italiano: “Sulla strada” pubblicato come Oscar dalla Mondadori.

In questi giorni m’è ricapitato in mano; non l’ho riletto perché sto leggendo altro, ma non ho potuto fare a meno di sbirciarlo qua e là. C’è un dialogo all’inizio del libro che mi sembra paradigmatico di un’intera generazione:
Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati.
Dove andiamo?
Non lo so, ma dobbiamo andare.
E’ così che stavo andando questa mattina. “Ho lasciato che Vito andasse mentre mi stordivo a suon di musica…”.

Be’, no… non è stato proprio così. Mi sarebbe piaciuto stordirmi di musica, sarebbe stato degno del grande Jack, ma non sono quel genere di personaggio, e non posso certo diventarlo ora. Kerouac è stato un sogno a cui mi sono spesso ispirato, che mi ha fatto sognare, ma io quel coraggio, o quell’incoscienza – se preferite – non ce li ho mai avuti, e certe cose o si fanno a vent’anni o non si fanno più.

La verità, nuda e cruda, è che ho scartabellato in ogni ripostiglio del Vito cercando un CD adatto al mio umore. Alla fine, dopo averli scartati tutti, mi è rimasto in mano quello della mia cara sorellina la quale – non credo di avervelo mai detto – oltre a recitare e cantare all’Opera, canta anche dei testi suoi, e li canta piuttosto bene, direi. In questo momento sta preparando il suo secondo CD, che uscirà, pare, l’anno prossimo, ma a parte il titolo, “Libellula”, di questo non so dirvi altro.

Del primo, invece – “Corre voce” – so vita morte e miracoli perché lo ascolto spesso. Non solo perché è di mia sorella, ma soprattutto perché mi piace. Mi cattura la musica, in stile jazz, ma anche le parole. Sentite queste: “La mia solitudine è un calice amaro, / ma il verde già spunta sottile dal muro”. Un messaggio di speranza, tutto sommato, che percorre l’intero CD.

Basta, stop. Non dirò altro per non essere accusato di pubblicità familistica ed impropria, ma soprattutto per evitare che mia sorella si monti troppo la testa e mi manchi di rispetto… 🙂 Resta il fatto che le note di “Corre voce” mi hanno tenuto compagnia finché non sono arrivato a Feltre.

Feltre, dunque. Ho vinto finalmente quello strano sortilegio (#322 La palude) per il quale ogni volta che puntavo su Feltre per farci delle foto, per un motivo o per l’altro, finivo da un’altra parte. La destinazione di oggi era il santuario dei Santi Vittore e Corona. E lì, forse anche per merito di “Corre voce”, sono arrivato senza intoppi né deviazioni. Non c’ero mai stato prima e sono felice di aver colmato questa lacuna. Si tratta di un luogo magnifico, non solo per la collocazione – vi si domina l’intera piana di Feltre, dal Piave alle Vette – ma per lo splendido chiostro e per gli affreschi che decorano l’interno della basilica. Le foto di oggi ne sono, spero, una testimonianza.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131204 01 3781 113833_wm anzù, la galaverna abbazia vittore e corona

20131204 02 3668 095150_wm abbazia dei santi vittore e corona, chiostro

20131204 03 3675 095536_wm abbazia dei santi vittore e corona, chiostro

20131204 04 3703 101700_wm abbazia dei santi vittore e corona, santuario

20131204 05 3721 102928_wm abbazia dei santi vittore e corona, santuario

20131204 06 3707 102306_wm abbazia dei santi vittore e corona, santuario

20131204 07 3709 102344_wm abbazia dei santi vittore e corona, santuario

20131204 08 3752 105623_wm abbazia dei santi vittore e corona, esterni, panorama

20131204 09 3628 090809_wm feltre

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#337 Levego forever

Devo ammettere che il contadino di ieri aveva ragione: è davvero bella la campagna di Levego, tanto da indurmi a ritornarci. E, se non bastasse, ad anticipare la sveglia. No, non sono impazzito, semplicemente nella passeggiata di ieri – ormai era quasi mezzogiorno – ero capitato in una zona acquitrinosa e ghiacciata. Il sole l’aveva ormai inondata di luce, ma in qualche recesso, dove non era riuscito ad intrufolarsi, si intuiva un habitat dove il Generale Inverno dettava ancora le sue regole. Regole rigide, come potete immaginare. Mi ero ripromesso di tornare, e così ho fatto.

Volevo essere sul posto prima che il sole cominciasse a scaldare e la brina si sciogliesse. Tutto qui. In effetti potevo prendermela più comoda… Non avevo messo nel conto che il sole del primo mattino, illumina, sì, ma non scalda, o scalda assai poco. L’ho scoperto  a mie spese, man mano che mi trasformavo in un ghiacciolo.

E sì che m’ero vestito bene: mutande e mutandoni lunghi, sotto le braghe; maglia di sotto, camicia, maglione e giubbotto, per essere coperto pur mantenendo qualche libertà di movimento; berretto di pail, di quelli a calotta, con il paraorecchie; una sciarpa tubolare infilata nel collo; doppio paio di calze, il secondo di lana spessa; e gli stivali, non si sa mai che il ghiaccio si rompa…

Il problema vero, però, sono i guanti. Guai a non averli, pena il congelamento delle mani, ma come si fa a premere il fatidico clic con l’indice infilato in una guaina? Lo scorso inverno avevo risolto il problema tagliando il guanto della mano destra in modo da lasciare scoperto il dito in questione.

Non era stata una gran soluzione: fatte le prime foto – all’inizio funzionava alla grande! – il dito, assumeva diverse colorazioni comprese tra il rosso e il blu, quindi si congelava, e fino ad avvenuto scongelamento non c’era verso di fargli fare un qualsiasi movimento autonomo. Mi sono comperato un altro paio di guanti, ma è una palla! è più il tempo perso nel “cava e metti” che quello passato a scattare.

Ma ogni mestiere ha i suoi pro e i suoi contro. I contro ve li ho detti, i pro sono che fuori, all’aria aperta, anche quando l’aria è pepata come stamattina, si sta benissimo. Si prende freddo, è vero, ma non l’hanno ancora inventata la macchina fotografica che scatta le foto che vuoi, stando comodamente seduto nel sofà di casa. Ci si arriverà, vedrete, ci si arriverà. Presto ognuno avrà il suo “drone personale” e potrà mandarlo a catturare immagini dovunque. Quel giorno, ve lo giuro, smetterò di fotografare.  Ma quel giorno, per fortuna, non è dietro l’angolo.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131203 3435 081725_wm dintorni gelati di levego

20131203 3482 083715_wm dintorni gelati di levego

20131203 3483 083736_wm dintorni gelati di levego

20131203 3499 084825_wm dintorni gelati di levego

20131203 3507 085135_wm dintorni gelati di levego

20131203 3525 085944_wm dintorni gelati di levego

20131203 3528 090215_wm dintorni gelati di levego

20131203 3587 094230_wm dintorni gelati di levego

20131203 3589 094316_wm dintorni gelati di levego

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#336 Il contadino

Giornata splendida oggi, una di quelle giornate in cui comprendo per quale motivo sono contento di essere in pensione. Non sopporterei di starmene chiuso tra quattro mura quando il mondo, intorno a me, è così limpido e sereno. Naturalmente, in questa stagione e dalle nostre parti, se il tempo è bello, la temperatura è rigida. Ne sa qualcosa il Vito che, come un soldato immusonito, è rimasto fuori tutta la notte al freddo e al gelo. Eroico. Stamattina per rabbonirlo ho dovuto accarezzarlo per bene, specialmente nel parabrezza dove si era stratificato un sottile, ma resistentissimo, strato di ghiaccio.

Una volta riscaldato il Vito ha ritrovato la sua verve e s’è messo in marcia con fare canterino. Scalpitava, ma era indeciso. Ho dovuto dargli un piccolo input dirigendolo, appena uscito di casa, verso sinistra; poi, come il solito, mi sono perso via pensando a chissà che, e lui, avendo carta bianca, ha fatto il resto, cioè mi ha portato dove mi porta di solito quando lascio fare a lui: dalle parti di Castion.

A quel punto ho ripreso il controllo della situazione e del mezzo. Che ci faccio a Castion alle dieci del mattino? Ok, potrei fare un po’ di spesa, e poi? E poi non so, ma intanto quattro cose da mettere nel frigo dovrei proprio comprarle, se non altro per giustificare il fatto che lo tengo acceso. No, no, la spesa la farò più tardi, dove la metto la roba sennò? Ora devo pensare a cose più importanti: devo assolutamente fotografare.

Sulla “Curta” c’è un boschetto dal quale si domina Belluno. Vado a fare una foto panoramica. Niente di nuovo sotto il sole… vabbe’, ma con una giornata così una bella panoramica della città ci sta, no? Quando esco dal bosco ho almeno mezzo chilo di semini marroncini attaccati al giubbotto. Sono terribili quei semini! Non so di che pianta o arbusto siano, ma sono piuttosto comuni dalle nostre parti. Hanno una forma allungata, a cuneo, e terminano con due aghetti prensili che si attaccano qualsiasi superficie. Ne sono letteralmente invaso.

Ho cominciato a spulciarmi come fanno, tra loro, le scimmie antropomorfe, ma io ero da solo e la faccenda rischiava di prendermi l’intera mattinata; non me lo posso permettere e, pieno di semini, risalgo sul Vito. Questa volta guido io e mi dirigo a Levego. Non chiedetemi perché, non ve lo saprei dire, ma Levego mi ispirava.

Col senno di poi confermo che è stata una scelta azzeccata. Appena fuori dell’abitato, posteggiato il Vito, mi sono incamminato su una stradina. La stradina porta in un cascinale, una tipica casa di campagna con un cortile e un cane che abbaia. A me, ovviamente.

All’uomo che esce per vedere il motivo di tanto chiasso chiedo dove porta la strada e se posso percorrerla. La strada termina lì, ma c’è un sentiero nella campagna e posso percorrerlo facendo una specie di anello che dovrebbe portarmi nello stesso punto dove ho lasciato il Vito. Non chiedo di meglio.

Sorpasso un paio di cavalli e un asino e mi trovo in aperta campagna. Un uomo con il trattore sta arando. Ci sono degli alberi, la terra ha un buon odore, ci sono dei colori forti. L’insieme mi piace e fotografo. Aspetto che il trattore risalga il campo nella mia direzione e fotografo di nuovo.  Il contadino che lo guida devia dal suo percorso e arresta il trattore ai miei piedi. Apre lo sportello e, alludendo al tele, mi fa: “Elo na carabina chel’afàr la?” Gli spiego, ma lui tanto non mi sta a sentire, non gli interessa, sta ancora ridendo della sua battuta. Poi si riprende. “Al me dighe, ela poc bela sta campagna?” Non posso che dichiararmi d’accordo con lui. Mi chiede una foto e gliela faccio. A mia volta gli chiedo se mi dà un indirizzo email per mandargliela; non sa cosa sia un indirizzo email. Lui queste robe moderne non le sa, non le capisce. Mi saluta e riprende il suo lavoro. Ed io riprendo il mio cammino.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131202 3300 104437_wm belluno dalla curta

20131202 3325 113439_wm campagne di levego

20131202 3326 113614_wm campagne di levego

20131202 3342 114325_wm campagne di levego

20131202 3378 115338_bnwm campagne di levego

20131202 3391 120816_wm campagne di levego

20131202 3420 123428_wm campagne di levego

20131202 3425 123745_wm campagne di levego

 

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#335 A zonzo aspettando il pranzo

Il mio stomaco, ultimamente, è stato sottoposto ad un “tour de force” davvero impegnativo. Dapprima ha dovuto sostenere la generosità alimentare di tutto il mio parentado siculo per il quale la massima espressione di ospitalità consiste nel nutrire l’ospite fin quasi a farlo scoppiare. Non posso dire, come ha fatto a suo tempo l’onorevole Scaiola, che tutto questo sia avvenuto a mia insaputa. Avrei potuto dire di no, naturalmente, ma perché avrei dovuto? Quando mi ricapita di fare delle mangiate luculliane di così tante prelibatezze?

E così ho fatto la parte dell’ospite, un ospite consenziente e perfettamente consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri che, nella fattispecie, guarda caso, coincidevano. La verità è che alla cucina sicula, polenta a parte, non manca assolutamente niente per essere una delle migliori d’Italia e del mondo.

Mi ero comunque ripromesso, al ritorno, di sottopormi ad una dieta defatigante. Lo scopo non doveva essere quello di dimagrire (ci penserò a gennaio, giuro!), quanto di fare riposare lo stomaco in vista degli impegni mangerecci dell’ormai prossimo Natale. Pensavo a brodini, mele cotte e insalatine, ma non avevo fatto i conti con gli amici che, pare, aspettavano soltanto il mio ritorno per subissarmi di inviti.

Ben vengano, naturalmente. Amici ed inviti sono sempre graditi. Non bisogna snobbare i periodi di vacche grasse, perché poi verranno, statisticamente parlando, quelli di vacche magre. E poi, come si fa a rifiutare un invito? E’ maleducazione… ed io, come forse avrete capito, non sono un maleducato.

Ieri era stata una giornata difficilissima: ho dovuto mangiar fuori sia a pranzo che a cena. Primo, secondo, dolce, caffè e ammazzacaffè. E oggi si profilava il bis. A questo punto il  mio stomaco ha inviato al cervello un messaggio perentorio: “In questa Italia attanagliata dalla crisi, io sono l’unico che lavora, mi fai fare pure gli straordinari. O ti dai una regolata o finisce male”.

Messaggio ricevuto, ma ormai è tardi per dare forfait agli amici che mi hanno invitato. E poi dare forfait è maleducazione… ed io, be’, lo sapete. Non mi resta che smaltire in anticipo facendo una passeggiata preventiva. Quale migliore occasione per scattare delle foto bucoliche? Quelle di oggi vengono dai dintorni di Bes.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131201 3144 094330_wm dintorni di bes

20131201 3179 102515_wm dintorni di bes

20131201 3184 102919_wm dintorni di bes

20131201 3192 103338_wm dintorni di bes

20131201 3197 103700_wm dintorni di bes

20131201 3211 104634_wm dintorni di bes

20131201 3225 105453_wm dintorni di bes

20131201 3250 113138_wm dintorni di bes

20131201 3267 114651_wm dintorni di bes

20131201 3269 115132_wm dintorni di bes

 

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#334 Trenta giorni ha novembre…

Trenta giorni ha novembre con april, giugno e settembre…” La ricordate? Sicuramente la conoscete anche voi. E’ una di quelle comode filastrocche, che s’imparavano alle elementari, per memorizzare di quanti giorni fossero costituiti i mesi dell’anno. A tempo debito ne avevo imparate a decine, ma ora non riesco a ricordarne nessuna.

Anzi no, me ne viene in mente un’altra, che mi è stata utilissima per memorizzare alcuni accenti: “Su qui e qua / l’accento non va / su lì e su là / l’accento ci sta, / su me e su te / l’accento non c’è; / non lo vuol su / ma lo vuole giù”.

Per quanto mi sprema, non me ne vengono in mente altre. Peccato, però. Non dico che le filastrocche fossero il sale della vita, ma aiutavano in quel primo sapere spicciolo, trasformando la fatica dell’imparare in un gioco di rime.

A ripensarci, forse ho capito perché mi è tornata alla mente la filastrocca dei giorni. Non è la filastrocca in sé che mi coinvolge, sono i “trenta giorni” di novembre. Già, perché anche novembre ormai è finito; da domani sarà dicembre e fra un mese, pensate: solo un mese! arriverò alla fine delle mie fatiche. Sarà, che ci crediate o no, il mese più lungo della mia vita.

Per undici lunghi mesi, non c’è stato giorno che non mi sia addormentato e risvegliato con il tarlo della fotografia da fare. Mi piacerebbe farvi capire cosa una cosa del genere significhi, come e quanto si modifichino i percorsi mentali abituali quando vi sia un pensiero, un pensiero da niente che tuttavia s’ingrossa come un fiume finché non straripa e dilaga occupando spazi normalmente riservati ad altro.

Dopo un po’ non c’è altro spazio che per quell’unico pensiero: finisce per diventare un’ossessione, un obbligo, una necessità vitale ed improrogabile. Una malattia, senza dubbio, ma anche una terapia. Quante cose, che un anno fa avrei reputato della massima importanza, ho relativizzato. Quante altre ne ho scoperte, che neppure conoscevo. Ma è inutile che provi a spiegare: io non sarei capace di trovare le parole per raccontare questa cosa che sto vivendo, né d’altra parte, voi potreste capirla.

In ogni caso è ancora presto per i bilanci. Quelli li farò, semmai, ad esperienza conclusa, e comunque saranno bilanci privati. E’ invece il momento di far parlare, come di consueto, le fotografie, che oggi sono andato a scattare nel centro di una Belluno la quale, giorno dopo giorno, si prepara al Natale.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131130 3042 110144_wm belluno

20131130 3048 111032_wm belluno

20131130 3049 111044_wm belluno

20131130 3054 111243_wm belluno

20131130 3072 112056_wm belluno

20131130 3073 112117_wm belluno

20131130 3078 112509_wm belluno

20131130 3093 113849_wm belluno

20131130 3112 114445_wm belluno

 

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#333 In balia della tecnologia

Faccio l’inventario delle cose su cui posso contare per sopravvivere. I vestiti che indosso, l’orologio da polso, il cellulare finché dura la carica, le coperte del letto sotto le quali potrei riscaldarmi, la luce del giorno, il taccuino nel quale sto scrivendo questi appunti e la penna con la quale li scrivo. Basta, mi pare. Tutto il resto è off.

Qualcuno potrebbe pensare che io queste cose me le invento per poter scrivere qualcosa sul blog. Non è mica così. Non c’è bisogno di inventare niente. Io sono uno sfigato vero, autentico, non di plastica. Cerco di spiegarvi, il più rapidamente possibile, come sono andate le cose.

Per la verità sarebbe da partire da ieri sera quando, provenendo da Milano, a Padova ho perso il treno in quanto l’ipertecnologico “freccia bianca” ha accumulato ventidue minuti di ritardo, mentre il vecchio “freccia nera” che collega Padova e Belluno, per l’occasione si è permesso di partire con un minuto di anticipo, condannandomi di fatto ad un’attesa imprevista di oltre un’ora e mezza. Ma non è mica questa la sfiga, questo è solo l’anticipo.

Quando sono arrivato a casa ho tremato dal freddo: dopo una settimana di assenza la temperatura era scesa di brutto. Per sapere di quanto ho buttato l’occhio, come faccio di solito, sul termostato, ma il visore del termostato non dava segni di vita. “Si saranno consumate le batterie,” mi son detto, “dopo ci guardo”. Le batterie, in effetti, si erano esaurite ed andavano sostituite. Con le batterie nuove di zecca, il visore è tornato a risplendere e a fornire delle indicazioni. La più rilevante delle quali era rappresentata da un simboletto che sembrava proprio una batteria. Sul libretto di istruzioni quel simboletto voleva dire che la pila era esaurita e andava sostituita con delle pile nuove. Un loop, praticamente. Ho rinunciato a capire, ma al momento non mi sembrava così importante, ci avrei pensato l’indomani…

Questa mattina, cioè l’indomani di ieri, non ho acceso la stufa. A momenti sarei dovuto uscire e mi pareva che non valesse la pena. Per smorzare il gelo ho deciso di accendere una stufetta elettrica. Dopo qualche minuto che va, sento un colpo secco, una specie di schioppettata. Qualcosa era andato in corto. Stacco la stufetta e vado a riattivare il salvavita. Fa una fiammata e salta un’altra volta. Faccio diversi tentativi, ma non c’è niente da fare, riesco a far partire la luce elettrica, ma “l’industriale” non vuol saperne.

Ah! Se ci fosse qui mio fratello – quello di Monza – lui saprebbe cosa fare! Io, invece, non ci ho mai capito niente. Zero assoluto. Ci metto un po’ a realizzare cosa questa situazione significhi. Non funziona il frigorifero, quindi le cose che ci sono dentro andranno a male; non funziona il computer, quindi non potrò collegarmi ad internet per fare il mio lavoro… Ma vado letteralmente nel panico quando realizzo che la stufa a pellet la quale, di questi tempi, è la luce dei miei occhi, non partirà affatto.

Poco male,” diranno i più avveduti, “se la stufa non parte, accendi il riscaldamento, no?”. Eh già, la fate facile, voi… ma avete dimenticato il termostato che non funziona? Il termostato è la scatola di comando con la quale si attiva il riscaldamento: niente termostato, niente riscaldamento. Semplice come un’equazione. La faccio ancora più diretta: niente corrente, niente stufa, niente riscaldamento!

Per ottenere il riscaldamento dovrò mettermi a correre intorno all’isolato, o andare a letto e coprirmi sotto una coltre di setto-otto coperte spesse. Non credo neppure di averle, tutte ‘ste coperte. La verità, volendo generalizzare, è che noi umani ci siamo costruiti attorno un mondo talmente complicato da renderci fragili: dipendiamo dalla tecnologia al punto che basta veramente poco a metterci nei guai…

PS
Il resto della mattinata è trascorso nel tentativo di rintuzzare il proditorio attacco che la tecnologia ha sferrato nei miei confronti. Senza mio merito, posso comunque affermare che l’attacco è stato respinto: il termostato ora “vede” le batterie che “faceva finta” di non avere e la stufa sta mangiando pellet come fossero dei ghiotti biscottini.
Per quanto riguarda le foto, ho deciso di postare, dopo averle virate in bianco-nero, alcune di quelle che ho scattato ieri, durante il viaggio di ritorno. Il soggetto è la Stazione Centrale di Milano.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131129 20131128 2915 125132_bnwm milano, stazione centrale

20131129 20131128 2916 125143_bnwm milano, stazione centrale

20131129 20131128 2917 125348_bnwm milano, stazione centrale

20131129 20131128 2924 130359_bnwm milano, stazione centrale

20131129 20131128 2927 130656_bnwm milano, stazione centrale

20131129 20131128 2929 131925_bnwm milano, dal treno

 

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#332 Radici… & cannoli

Sono di nuovo a casa. E’ bello tornare a casa quando la memoria del viaggio è ancora fresca, quando le persone che abbiamo incontrato sono ancora vive dentro di noi e ancora ci scalda il loro abbraccio.

Non è stato un viaggio molto fortunato dal punto di vista meteorologico: fin dal primo momento siamo stati battezzati dalla pioggia e sferzati dal vento. Ma non tutto il male viene per nuocere, il maltempo che ci ha inizialmente accompagnato ci permette ora di ricordare lo schiumare delle onde e la potenza con cui queste si abbattevano sugli scogli, e la luce, quella luce particolarissima, da temporale del sud, quando cielo e mare si incontrano all’orizzonte confondendosi nella medesima tonalità grigio-perla.

E volete mettere come ce lo siamo goduto quel poco sole che, a spizzichi e bocconi, si è affacciato sopra di noi? Non avete idea di quanto ci abbia scaldato le ossa e ci abbia illuso circa un improbabile, se non impossibile, ritorno estivo…

Cosa mi resta, allora, di questo viaggio? Al di la delle foto, memorizzate nel computer come insieme di bit e di bytes, mi rimane una serie di istantanee che con le foto non hanno niente a che fare, sono istantanee della memoria, strani inconsistenti oggetti che mi porto dentro, dove forme e colori si fondono con i caratteri, sempre disponibili, sempre generosi, dei siciliani – un popolo unico, eccezionale, pur nelle sue mille contraddizioni.

Porto a casa il sorriso della gente che ho incontrato, le sue piccinerie e la sua grandezza. Porto a casa gli arabeschi degli storni, l’incedere goffo dei fenicotteri e il loro elegante volo in maglia rosa. Porto a casa il rumore roboante del mare che morde, quando morde, e quello dolce che vibra e accarezza. Porto a casa i fiori bianchi d’innocenza sotto i rami centenari e severi degli ulivi.

Dopo tanti anni, riscopro il senso di questa terra arsa, piena di vita e di contrasti, dove il dolce è troppo dolce e l’amaro, ahimè, troppo amaro. Ora che sono tornato a casa, non posso non pensare con affetto a questa terra che per cause fortuite non mi appartiene e alla quale, forse, non sono mai appartenuto, ma che è pur sempre la mia terra, quella dove affondano le mie radici di uomo.

PS
Ho deciso di postare le foto che ho scattato a Dàttilo, il mio paese natale. Non è un paese turistico, non è particolarmente interessante; per certi versi, assomiglia ad un paese del Far West: un incrocio di strade su cui si affacciano delle case. Con un po’ di fantasia non è difficile immaginare, invece delle auto, dei carri o dei cavalli. Al posto del Saloon, ora c’è una pasticceria dove si producono – dicono – i migliori cannoli della provincia. Non potevamo sottrarci… Posso assicurarvi che per qualità e dimensioni, non hanno niente a che fare con quelli che arrivano dalle nostre parti e che possiamo trovare nei banchi delle fiere. Potete farvene un’idea attraverso una delle foto che seguono. A me, chissà come mai, è toccato il cannolo più grande. Prima di affrontarlo ho voluto misurarne la lunghezza: ventisette centimetri di assoluta bontà.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131128 01 20131126 2609 114344_wm dattilo, casa natale

20131128 02 20131126 2615 114706_wm dattilo, piazza primo maggio

20131128 03 20131126 2602 114101_wm dattilo, casa natale

20131128 04 20131126 2603 114143_wm dattilo, casa natale

20131128 05 20131126 2616 114822_wm dattilo, piazza primo maggio

20131128 06 20131126 2619 114935_wm dattilo, piazza primo maggio

20131128 07 20131126 2656 150931_wm dintorni di paceco, olivi

20131128 08 20131126 2626 120719_wm napola, bar pasticceria, cannoli

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#331 Un lavoro pericoloso

Chi l’avrebbe mai detto che il lavoro del fotografo fosse così pericoloso! L’avessi saputo prima, ci avrei pensato due volte prima di intraprendere questo hobby… Chissà quanti altri ce ne sono, di più tranquilli e rilassanti. Avrei potuto collezionare francobolli, per esempio, o crearmi un giardino bonsai sul balcone, o studiare gli ideogrammi cinesi… insomma, qualunque cosa mi facesse dormire di notte come un bambino, senza preoccupazioni per il giorno dopo. Ho una gran voglia di risvegli pigri e senza patemi; non mi dispiacciono gli impegni, a patto che possano essere facilmente rinviati. E invece no.

Ieri mattina, presi armi e bagagli, i miei fratelli ed io ci siamo trasferiti. Il caro Zu Enzo, che abbraccio riconoscente per tutte le abbuffate che ci ha consentito di fare, non ne poteva più di noi e ci ha sbolognati presso un altro parente che abita dalle parti di Trapani. Quest’ultimo ha avuto l’ottima idea di accompagnarci dapprima in un tour nostalgico alla riscoperta del mio paese natale, quindi, in una visita guidata delle saline di Trapani.

Del mio paese natale dirò domani, o forse non dirò affatto, ci devo pensare. Delle saline di Trapani, invece, ho parlato un paio di giorni fa. Con l’occasione avevo spiegato quanto l’ambiente delle saline mi attragga dal punto di vista paesaggistico. Quelle di Trapani, a differenza di quelle di Marsala, sono meno curate, hanno un che di rustico che le rende, per quanto mi riguarda, ancora più interessanti.

Senza contare che stavolta, anziché costeggiarle dalla strada provinciale, ci siamo addentrati in una stradina interna che ci ha portati nel cuore stesso della salina, in una località – Nubia – i cui abitanti, in sostanza, condividono lo stesso habitat dei fenicotteri. Questi ultimi, poi, sono davvero degli strani animali: tanto goffi a terra, con quell’aria dinoccolata e stanca, quanto aggraziati in cielo. Purtroppo, non disponendo di un vero teleobiettivo (ho dovuto, versandoci sopra una lacrima, lasciarlo a casa: con Ryanair sul peso del bagaglio a mano c’è poco da scherzare…) non posso ottenerne immagini troppo ravvicinate, ma tra quelle dell’altro giorno e queste ultime, credo che possiate comunque farvene un’idea.

Si tratta di fenicotteri rosa. Qui dicono che i fenicotteri nascono bianchi e grigi – li ho visti anch’io… – ma diventano rosa a forza di mangiare gamberetti. Non so se sia vero, credo dipenda piuttosto da alcuni microorganismi che si trovano in questo habitat e che finiscono per assimilare. Ma la storia dei gamberetti è senz’altro più bella.

Fenicotteri a parte, le foto documentano anche il passaggio di stormi di volatili. Credo siano stornelli – almeno così mi hanno detto – ma chissà. Noi  abbiamo incontrato un mega stormo. Avete presente il film “Gli uccelli” di Hitchcock? Qualcosa del genere, con la differenza, però, che i nostri non erano aggressivi, si limitavano a ricamare il cielo con le loro imprevedibili evoluzioni.

L’ultima foto di oggi, coincide con l’ultima foto che ho scattato. Si tratta di un controluce nel quale sono raffigurati i miei due fratelli che fotografano le Egadi. Dopo questa foto sono caduto. “Ancora?”, direte voi. “Ancora”. Questa volta, però, non su delle pietre; ho messo il piede su quelle che parevano delle solidissime alghe che si sono rivelate una palude molto ben camuffata. Sono sprofondato fino a mezza coscia. I miei fratelli mi hanno tirato fuori senza danno tranne per il fatto che i pantaloni e le scarpe erano inzuppati d’acqua. I pantaloni li avrei cambiati, non c’era problema, ma le scarpe? Per i soliti limiti di bagaglio della Ryanair, non ne avevo di scorta e quella sera sarei dovuto ripartire!

Stop, fine dei giochi, torno a casa sgocciolando per trovare un fon con cui asciugare le scarpe. Chi l’avrebbe mai detto che il lavoro del fotografo fosse così pericoloso! L’avessi saputo prima!

 —ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

20131127 20131126 2667 152148_wm saline di trapani, nubia

20131127 20131126 2730 152934_wm saline di trapani, nubia

20131127 20131126 2824 153343_wm saline di trapani, nubia

20131127 20131126 2834 153432_wm saline di trapani, nubia

20131127 20131126 2875 153731_wm saline di trapani, nubia

20131127 20131126 2880 153832_wm saline di trapani, nubia

20131127 20131126 2885 153850_wm saline di trapani, nubia

20131127 20131126 2887 153930_wm saline di trapani, nubia

20131127 20131126 2889 154132_wm saline di trapani, nubia

20131127 20131126 2895 154708_wm saline di trapani, nubia

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#330 Mazara del Vallo

Zu Enzo gestisce un negozio di autoricambi. Mi spiegava che qui da loro la concorrenza è spietata. Un consistente numero di ricambisti si spartiscono una vasta platea di meccanici: coccolandoli, strappandoseli l’un l’altro a suon di sconti, preventivi al ribasso, cene sociali e servizi vari.

Oggi Zu Enzo doveva fare delle consegne a Mazara del Vallo. Una telefonata e poco più di mezz’ora dopo eravamo noi stessi “consegnati” nelle mani esperte di S* B* e di sua moglie. S* B* è un ex insegnante di lettere, fotoamatore evoluto, mazarese doc, profondo conoscitore della città e della sua storia, nonché consuocero di Zu Enzo. Chi meglio di lui poteva farci da Cicerone per una visita che doveva necessariamente essere rapida e, di conseguenza, selettiva?

S*, nonostante non sia più un giovanotto, mostra l’entusiasmo di un ragazzino. Con dovizia di particolari, senza trascurare di tracciare un quadro storico di riferimento al quale ancorare quanto stavamo vedendo, ci ha fatto percorrere le viuzze del centro rispondendo alle nostre domande e sollecitandone altre.

Dato il poco tempo a disposizione, molte domande sono rimaste in sospeso e molte risposte sono state necessariamente sommarie, ma fornite in modo da stimolare la nostra curiosità. Una curiosità che, prima o poi,  si dovrà sanare. Quel che è certo è che grazie a S*, Mazara non è più, per noi, un anonimo paese del sud d’Italia, un porto dal quale i pescatori fanno rotta verso le coste tunisine (che distano appena 200 km) ma una città viva la quale, per la sua storia importante e per la cordialità della sua gente, è entrata a far parte della nostra esperienza di vita.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

20131126 01.20131125 2462 120055_wm mazara

20131126 02.20131125 2489 121625_wm mazara

20131126 03.20131125 2491 121808_wm mazara

20131126 04.20131125 2496 122058_wm mazara

20131126 05.20131125 2530 124554_wm mazara

20131126 06.20131125 2540 125002_wm mazara

20131126 07.20131125 2545 125627_wm mazara

20131126 08.20131125 2561 130247_wm mazara

20131126 09.20131125 2563 130528_wm mazara—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#329 Le saline

Se abitassi da queste parti, sarei un frequentatore assiduo della costiera che collega Marsala a Trapani. Bisognerebbe venirci a piedi, o in bicicletta, per assaporare le sorprese che ad ogni ansa della strada, si presentano agli occhi.

Non parlo soltanto di quel tratto di mare che qui chiamano “lo Stagnone” per via dei bassi fondali sui quali un tempo si arenavano le navi puniche. Né dell’isola di Mozia – l’antica Mothia – la quale raccoglie in un importante museo le tracce delle antiche civiltà che hanno solcato questi mari e calcato queste terre.

Mi riferisco soprattutto alle saline le quali, per secoli, hanno garantito agli abitanti di questo tratto di costa un certo grado di benessere. Ma io non le amo per questo, le amo perché sono un ineguagliabile elemento del paesaggio di queste zone: con i suoi cumuli di sale ricoperti dai coppi, con i suoi canali, con i suoi mulini a vento, con i suoi fenicotteri rosa e no, con le sue vasche d’acqua marina lasciate ad evaporare fino ad ottenere prati di cristalli bianchi che rilucono al sole.

Se abitassi da queste parti verrei a fotografarle in ogni stagione, ad ogni ora del giorno, con qualsiasi condizione di luce. Verrei all’alba o al tramonto, persino nel meriggio assolato, verrei. Ma probabilmente non mi verrebbe in mente di fotografarle con il tempo cattivo, come invece, per causa di forza maggiore, ho fatto oggi. Eppure, anche quando non te lo aspetti, persino mentre piove, le saline non cessano di esercitare il loro fascino misterioso.

PS
Le prime quattro foto riguardano le saline di Marsala, le ultime due quelle di Trapani. In mezzo ci sono due foto che con le saline non c’entrano niente. Il fatto è che i miei fratelli ed io avevamo un impegno nei confronti di una persona cara e pertanto abbiamo fatto una deviazione verso un paese dell’interno. Lo stormo di stornelli sembrava inseguirci, non potevo non fotografarlo. Viceversa, il gatto sembrava aspettarci. Quando siamo arrivati, non si è minimamente scomposto: ha aperto appena gli occhi, giusto per farsi fotografare, quindi è tornato a sonnecchiare. Se è vero che i gatti sono dei filosofi, i gatti siculi – penso – sono più filosofi degli altri.

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

 20131125 20131124 2256 103345_wm marsala, saline

20131125 20131124 2260 103922_wm marsala, saline

20131125 20131124 2261 103946_wm marsala, saline

20131125 20131124 2268 104314_wm marsala, saline

20131125 20131124 2341 112910_wm paceco, stormo di uccelli

20131125 20131124 2331 112735_wm gatto di paceco

20131125 20131124 2357 120452_wm trapani, saline

20131125 20131124 2364 120504_wm trapani, saline

 

—ooo—
Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#328 Punta Lilibeo

La hostess  prima di aprire il portellone dell’aereo lo aveva annunciato: “…vi segnaliamo che all’esterno dell’aereo sta piovendo”. Pensavo si trattasse di una leggera pioggerellina, non di un simile acquazzone! Senza ombrello, poiché le politiche low cost della Ryanair non mi hanno consentito di portarlo, ho affrontato la pioggia battente con l’unica preoccupazione di coprire Nikotina in modo che non si bagnasse.

Un addetto aereoportuale che ho rischiato di travolgere, ha scelto me per la domanda che gli premeva: “Ma a Bergamo, chiovìa accussì?” Alla mia risposta negativa ha spalancato il suo sorriso: “Cà ora cominciào”.

Appena uscito dall’aeroporto ci è venuto incontro un signore incappucciato e ci ha abbracciato uno ad uno. Mentre la pioggia continuava a scendere rimbalzando violentemente sul selciato, ho intuito, più che visto, che si grattava di “Zu Enzo”, il nostro ospite siculo.

Già, perché la terra sulla quale stavamo poggiando i piedi e che inaspettatamente ci bagnava la testa e inzaccherava le scarpe, era, se non l’avete già capito, la Sicilia.

Mentre percorrevamo il tratto di strada che dall’aeroporto di Trapani-Birgi porta a Marsala, la nostra destinazione, abbiamo sentito cadere sul parabrezza i primi chicchi di grandine. A Zu Enzo abbiamo dovuto spiegarlo noi cos’era la grandine, lui non lo sapeva. O forse, mefistofelico com’è, ha fatto finta di non saperlo.

PS
Le foto di oggi sono immagini rubate alla pioggia. Alcune, le prime, scattate dall’auto o da sotto un ombrello vengono da Marsala, e precisamente da Punta Lilibeo (detta altrimenti Capo Boeo), ossia dal punto più a Sud dell’Italia (escluse Egadi e Pantelleria). Le altre rendono testimonianza di una delle ragioni che ci hanno portato fin qui: passare i pomeriggi in compagnia di amici e parenti con le gambe sotto una tavola imbandita di ogni ben di Dio.

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

20131124 2208 100641_wm marsala, punta lilibeo, capo boeo

20131124 2227 101016_wm marsala, punta lilibeo, capo boeo

20131124 2229 101034_wm marsala, punta lilibeo, capo boeo

20131124 2230 101040_wm marsala, punta lilibeo, capo boeo

20131124 2238 101154_wm marsala, punta lilibeo, capo boeo

20131124 2242 101235_wm marsala, punta lilibeo, capo boeo

20131124 2404 144555_wm marsala, pranzo di famiglia

20131124 2394 144021_wm marsala, pranzo di famiglia

 ***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti piacciono clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#327 Villa Reale

Il mio impegno quotidiano, non impegna soltanto me. Questa mattina, per esempio, ho costretto mio fratello ad una sveglia anticipata. Erano le sei, ed era ancora buio. “Ma cosa fotografi se è buio?” mi fa. “Portami in centro”, gli ho detto, “ci saranno delle luci, no? e poi, in ogni caso, il giorno non tarderà ad arrivare…”.

La prima foto, dunque, è stata scattata nel centro di Monza, per l’esattezza in corso Italia, mentre già cominciava a schiarire. Per farla mio fratello si è fermato un momento in mezzo ad un semaforo, io, compatibilmente con la scarsa elasticità della mia gamba convalescente, sono sceso come un convalescente scoiattolo ed ho scattato la mia brava foto. Quindi siamo ripartiti a razzo, prima che arrivasse qualche “ghisa”.

A questo punto ci siamo spostati verso la Villa Reale. Mi sarebbe piaciuto farvi vedere un’immagine della facciata principale che è molto bella, ma la villa è inagibile per via di lavori in corso. La facciata è occultata da ponteggi, gru e cantieri. Ci abbiamo rinunciato. Ho chiesto a mio fratello che fine avesse fatto il ministero che la Lega aveva trasferito nella Villa di Monza. Mi ha detto che gli uffici erano stati chiusi subito dopo l’inaugurazione.

Le foto successive vengono dai giardini della Villa Reale. La persona che vedrete raffigurata in una delle foto, è mio fratello.

Tra qualche ora mi rimetto in viaggio. Monza non era che una tappa. Questo è il motivo per cui ho dovuto anticipare gli scatti e la scrittura del blog. Domani le foto le posterò, sempre che riesca a farlo, da un posto distante mille miglia da qui.

20131123 1993 072031_wm Monza, corso italia

20131123 2051 075955_wm Monza, giardini della villa reale

20131123 2057 080131_wm Monza, giardini della villa reale

20131123 2073 081139_wm Monza, giardini della villa reale

20131123 2098 082853_wm Monza, giardini della villa reale

20131123 2101 083251_wm Monza, giardini della villa reale

20131123 2106 083509_wm Monza, giardini della villa reale

20131123 2130 084216_wm Monza, giardini della villa reale

20131123 2138 084333_wm Monza, giardini della villa reale

 

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#326 Ve lo dico domani

Non so ancora se oggi riuscirò a postare qualche foto perché, al momento, sono ospite pagante di Trenitalia, ovvero mi ritrovo a bordo di uno di quei treni – nella fattispecie, la Freccia Bianca – niente affatto confortevoli che però costano come una suite di lusso. Questa società – Trenitalia – sta accumulando parecchi torti nei confronti dei suoi clienti/utenti. In particolare, nei confronti di quelli periferici che gli rendono poco e che trattano male solo perché alla logica del servizio subentra quella del profitto. Tra questi, i bellunesi, i quali hanno l’unico torto di essere in pochi e di vivere ai confini dell’impero. Non più tardi di qualche giorno fa, lo ricorderete, sulla tratta Padova-Belluno un treno ha preso fuoco. Si può stare tranquilli?

Per quanto mi riguarda ho imparato, a mie spese, che con Trenitalia bisogna tenere le antenne dritte. Un attimo prima sei un moderno e consapevole viaggiatore che si sposta da un luogo all’altro della penisola a bordo di un treno altrettanto moderno, e un secondo dopo sei un povero pirla che, per ragioni del tutto indipendenti dalla tua volontà, ha perso l’ultima coincidenza… (vedi #316 Il binario PF).

Questa mattina, ad ogni buon conto, prima di partire, ho scattato qualche foto. Ovviamente le ho scattate in stazione o nelle immediate vicinanze. A Mestre poi, dove ho effettuato il cambio treno, ne ho fatte delle altre.

Lungo il tragitto, invece, non sono riuscito a scattare nemmeno una foto. A Verona, il posto vicino al mio viene occupato da un tale che, ancora prima di sedersi, tira fuori il suo tablet e comincia a giocare. Il tipico compagno di viaggio anafettivo con il quale è impossibile mettersi a chiacchierare: proprio a me doveva capitare. Mi sono immerso nella lettura, che potevo fare? Ma il libro che sto leggendo è noioso e di conseguenza è stato noioso pure il viaggio. La cosa più emozionante che mi è capitata è accaduta poco prima di Brescia, quando, per andare in bagno, ho goduto come un maiale nello svegliare il mio vicino anaffettivo che si era addormentato sopra il tablet. A volte ci si contenta di poco.

Nel frattempo è passata qualche ora e sono arrivato a destinazione. Mi accorgo di non avervi ancora detto che sono a Monza, ma Monza è solo un transito perché la mia vera meta è… ma è ormai tardi, che ve lo dico a fare… ve lo dico domani.

PS
Tutte le foto di oggi sono state raccolte prima e durante il viaggio, l’ultima alla fine e merita una spiegazione in più: è la foto di Emma. Finora vi avevo parlato di una nipotina, Sofia, figlia di mio figlio; Emma è una sua coetanea: è nata appena quindici giorni dopo Sofia, è la nipote di mio fratello e dunque, se non mi sbaglio (mi incasino sempre in questo genere di relazioni…) dovrebbe essere mia “pronipote“. Comunque sia, non è un amore?

20131122 1903 103659_wm

20131122 1932 105357_wm

20131122 1938 112410_wm

20131122 1943 132404_wm

20131122 1948 133149_wm

20131122 1955 160408_wm

20131122 1960 162055_wm

DSC_1968_wm

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#325 L’acqua è vita (e la vita è dura)

Oggi sono uscito per fotografare la pioggia. Visto com’era andata a finire l’altroieri, ho deciso di tenermi alla larga dalla campagna, dai prati, dal fango. Sarei andato in città. Tanto la pioggia cade uguale, è democratica: non fa discriminazioni tra città e campagna.

La prima foto serve a farvi capire cosa intendo dire: un muro, delle gocce che cadono più spesse delle altre, forse da un tetto, e rimbalzano su una superficie solida, curva, esplodendo in mille schizzi che si dispongono nello spazio secondo una logica matematica che mi sfugge e non capirò mai, ma che mi affascina per la sua imprevedibile bellezza.

20131121 01.103740 1746_wm belluno, borgo pra

Forse è un’illusione ottica o forse è solo suggestione: ognuno, in fondo, vede quel che vuol vedere, ma a me pare di scorgere un embrione di solco, l’eco di uno scavo il quale, ne potete star certi, tra mille anni avrà sostituito il muro con una stalagmite. Non ne siete convinti? Aspettiamo, che fretta avete di morire? Non vedo l’ora di darvi torto…

E cos’altro è, se non perfezione e bellezza, la formula fisica in base alla quale questo rametto prensile, a discapito della legge di gravità e in nome di una fantomatica “tensione superficiale” trattiene a sé una sferica goccia di pioggia. Se ci sia “tensione” io non lo so, ma definirla “superficiale”…

20131121 02.110000 1770_wm belluno, scalette_02

Con la terza foto si dà conto di una strana abitudine dei passeri che sembra contrapporsi alle nostre. Noi, quando piove, cerchiamo di evitarla, la pioggia, tendiamo a coprirci e, se possibile, restiamo in casa in attesa di tempi migliori. Loro, invece, sembrano godere come dei matti, vanno e vengono a frotte, si radunano, come in questo caso, sui rami di un caco e, tra i frutti, sembrano usare la pioggia come se fosse la loro doccia personale.

20131121 03.105728 1762_wm belluno, scalette

Del resto non sono gli unici a pensare che la pioggia sia una fonte di energia e di vita. Guardate questo trancio di pianta rinsecchita e morente come offre, complice la pioggia, una possibilità di vita a quel fungo saprofita. E, in effetti, il fungo s’approfitta… dell’insperato sostegno per alimentarsi  e sopravvivere.

20131121 04.110512 1776_wm belluno, scalette

Perché l’acqua è vita. Non lo dico io, lo dice la scienza. Vi sembra la scoperta dell’acqua calda? Allora sentite questa: “la vita è dura”. Non ve l’aspettavate, eh? Eppure cos’altro vi viene in mente dopo aver visto dove questo povero ragnetto è costretto a guadagnarsi da vivere?

20131121 05.111136 1783_wm belluno, santo stefano

Naturalmente c’è modo e modo di guadagnarsi da vivere, e non è detto che quello del ragnetto sia il più difficile. C’è chi, ad esempio, lo fa allestendo una vetrina:

20131121 06.112834 1802_wm belluno, via roma

C’è chi mette un berretto a terra, imbraccia una fisarmonica ed improvvisa un concertino:

20131121 07.113635 1820_wm belluno, porta dojona

E chi provvede alle necessità sue e della famiglia compiendo un furto con destrezza:

20131121 08.114405 1836_wm belluno, piazza erbe

Eh sì, la vita può essere veramente dura in un Paese dove è venuto meno il rispetto per le gerarchie e dove, addirittura, si pretenderebbe di mettere dietro le sbarre le più alte autorità politiche e morali. Per le autorità morali sembrerebbe quasi che ci fossero riusciti, per quelle politiche… mmm… dubito!

20131121 09.115445 1861_wm belluno, piazza erbe

A meno che non apparteniate a quelle categorie per le quali, comunque vada, “la vita la è bela, basta avere l’ombrela

20131121 10.115846 1864_wm belluno, piazza erbe

 

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#324 Mi scappa da vivere

Stamattina sono stato a Sarmede che, per chi non lo sapesse, è un grazioso paesino della trevigiana vicino a Vittorio Veneto. Se avete, o avete avuto, dei bambini piccoli, è probabile che lo conosciate, altrimenti, qualunque sia il vostro stato attuale, sarebbe ora che lo conosceste. Sarmede sarebbe stato un paesino come tanti altri, probabilmente votato ad una quieta mediocrità, se un giorno, un artista di genio, un animatore di eventi, tale Stepàn Zavrèl (l’accentazione è approssimata…), cecoslovacco, in fuga dal suo paese, non vi si fosse stabilito.

Da allora, anche se Stepàn non c’è più, Sarmede è diventato il paese della favola e della fantasia. Ogni anno vi si radunano artisti e illustratori grafici da ogni parte del mondo. Vengono a rendere omaggio a Stepàn e a confrontarsi tra loro. Nel corso degli anni Sarmede è diventata un centro di cultura internazionale, un luogo da cui, chi si occupa di illustrazione per l’infanzia, non può assolutamente prescindere e un preciso punto di riferimento per chiunque si occupi di didattica.

Questa “vocazione culturale ed artistica” ha cambiato il paese ed i suoi abitanti. Non solo perché, un po’ come a Cibiana, molte case sono state affrescate con opere di artisti di ogni parte del mondo, ma perché quest’aria di cultura si respira nelle vie, nelle piazze, nei bar. Ovunque trovi gente che, non appena accenni a Zavrèl, si accende di interesse e ti guarda con simpatia.

Tutti si mettono a tua disposizione, dal segretario comunale che apre, non richiesto, la sala del consiglio per farti vedere un affresco dell’artista, alle addette della “casa della fantasia” gentili e carine, alla barista con la spallina che scivola giù, al ristoratore che si preoccupa se hai visto questo o quello e ti procura il numero di telefono per andare a visitare la casa dove Stepàn Zabrèl era vissuto.

Ognuno ha un ricordo personale da raccontare, un episodio di cui è stato testimone o sul quale sarebbe disposto a mettere una mano sul fuoco. E’ anche così che nascono i miti.

Non commento le foto di oggi perché si commentano da sole. Raccontano di bambini presi da incantamento o che recitano in prima persona la propria storia, raccontano di segni e colori che entrano in comunicazione con la parte migliore di noi, raccontano storie di occhi che guardano, da cui siamo guardati e nei quali viene spontaneo specchiarsi. Raccontano di un posto dove l’arte, i libri e le storie, hanno assunto un rilievo talmente importante da cambiare il destino del paese e forse, persino, il carattere dei suoi abitanti.

Ma ora vi lascio perché la fotografia non è tutto, e mi scappa da vivere.

20131120 01.115437 1689_wm sarmede

20131120 02.114457 1664_wm sarmede

20131120 03.113211 1637_wm sarmede

20131120 04.115400 1688_wm sarmede

20131120 05.111859 1626_wm sarmede, murales di vico calabrò

20131120 06.114732 1673_wm sarmede

20131120 07.115002 1679_wm sarmede

20131120 08.122912 1708_wm sarmede, montaner

20131120 09.144715 1721_wm sarmede

20131120 10.144503 1718_wm sarmede illustrata

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#323 Un bacio in bocca

Tutto è cominciato perché ieri sera un tale di cui non faccio il nome, ma soltanto il cognome: Sovilla, di professione fotografo, per sollevarmi il morale ha detto: “Se piove, che problemi hai? Fai diventare la pioggia il tuo soggetto; si possono fare splendide foto con la pioggia” e per soprammercato ha aggiunto: “tu, poi, sei fortunato perché hai il camper: vai sul posto che vuoi fotografare,  apri il portellone, tiri fuori il cavalletto e scatti. Non ti bagni nemmeno. Più facile di così!”.

Sebbene la pioggerellina delle sette si fosse tramutata in un piccolo diluvio verso le nove, la tesi del Maestro mi aveva quasi convinto: sarei andato in giro a fotografare la pioggia. Cosa c’è di più concreto e sfuggente della pioggia? Chissà cosa ne sarebbe venuto fuori… Nonostante il cattivo tempo, dunque, la giornata era iniziata all’insegna dell’ottimismo.

Ma non posso far carico al Maestro delle cazzate che faccio. Lui non può sapere che poche persone al mondo, più del vostro aspirante fotografo, possiedono all’ennesima potenza l’insana e diabolica capacità di mettersi nei guai da se stessi. L’istinto, che tante volte mi aveva suggerito la cosa giusta da fare, questa volta mi ha tradito, portandomi sulla strada di Rivamaor. C’è un punto, in direzione Belluno, che mi piace molto e che sarebbe degno del pennello di qualche artista di vaglia: lì dove la strada sterza bruscamente a sinistra e degli alberi altissimi, ora spogli, ma ricchi di ramificazioni che protendono al cielo, ti si parano dinanzi all’improvviso.

L’idea era di disporre il camper in  modo ortogonale rispetto alla strada; avrei fatto una foto con il cavalletto: tempi lunghi e grande profondità di campo. Mi figuravo di realizzare un’immagine in qualche modo poetica, che avesse la pioggia come protagonista, ma non al punto da far scomparire il paesaggio. L’immagine, insomma, che quel posto, secondo me, avrebbe meritato.

Non avevo però considerato che, disponendo le ruote in modo ortogonale rispetto alla strada, le ruote posteriori si trovano, di fatto, nel prato. Poco male finché quelle anteriori, dalle quali viene esercitata la trazione, rimangono sull’asfalto, ma se, inavvertitamente, per scegliere un punto di vista migliore, il mezzo indietreggia di un ulteriore mezzo metro, il patatrac è assicurato.

Quando ho visto che il Vito poggiava tutte e quattro le ruote nel campo, non mi sono allarmato più di tanto: era successo altre volte in passato e non avevo mai avuto problemi a uscirne, tanto più che avevo appena montato le gomme da neve che dovrebbero avere una presa migliore. Ma quando ho sentito le ruote motrici girare a vuoto sono passato, istantaneamente, dall’ottimismo al panico.

Più e più volte ho mosso il camper avanti e indietro, scendendo e risalendo dal Vito, posizionando dei supporti su cui fare presa, bagnandomi come un pulcino appena nato ed ottenendo quale unico risultato quello di infossare il mezzo ogni volta un po’ di più. Dopo l’ennesima parolaccia gridata al vento ho realizzato che oggi, il servizio fotografico per il blog probabilmente sarebbe saltato. “Al diavolo il blog” mi sono detto. “Adesso chi mi tira fuori dai pasticci?

Mi sono guardato attorno, ma non passava nessuno: “Chi vuoi che si muova con questa pioggia…” Ci vorrebbe un trattore, o un carro attrezzi… Fabio! Ma certo, Fabio il meccanico, lui sapeva sicuramente come fare. Lo chiamo sperando che non faccia lo gnorri come talvolta, quando è troppo occupato, gli capita di fare. Se Dio vuole, risponde. Gli spiego la faccenda; gli dico dove sono; lui assicura che arriverà appena possibile.

Io lo so casa vuol dire per Fabio “appena possibile”: che dovevo predispormi ad una lunga attesa. Così, anche per passare il tempo, mi sono messo a fotografare. Prima le ruote, una per una, evidenziando il fosso che i miei maldestri tentativi di fuoriuscita avevano scavato. Poi via via allargando il campo visivo, mantenendo il Vito come soggetto e cambiando lo sfondo.

20131119 01.102113 1545_wm vitopd

20131119 02.102158 1546_wm vitops

20131119 03.102220 1547_wm vitoas

20131119 04.095511 1508_wm vito

Squilla il cellulare: è Fabio. Annuncia che è messo male, mi prega di pazientare. Io paziento, che altro posso fare e, d’altra parte, ognuno ha i suoi problemi, non posso mica pretendere che tutti, di punto in bianco, si mettano a mia disposizione… L’unica cosa che posso fare è continuare a fotografare. Così, sotto la pioggia battente, intirizzito dal freddo, sempre più bagnato, badando di tenere Nikotina al coperto, mi metto a fotografare l’unico soggetto che ho a disposizione: il campo di pannocchie.

20131119 05.101957 1544_wm campo
20131119 06.100336 1514_wm campo
20131119 07.101723 1539_wm campo
20131119 08.100605 1516_wm campo, dettaglio
20131119 09.100908 1523_wm campo, dettaglio
20131119 10.101149 1529_wm campo, dettaglio

PS
Alla fine, dopo un tempo lunghissimo, quando ormai non ci speravo più, è arrivato Fabio il quale, dopo avermi preso in giro per essermi messo in quella situazione, in quattro e quattr’otto mi ha trainato fuori dal pantano facendomi ritrovare gran parte del buon’umore perduto. Ero talmente contento che l’avrei baciato in bocca. Fabio ha ringraziato per il pensiero, ma ha detto che non era il caso.

 

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#322 La palude

Non so da cosa diavolo dipenda, ma ogni volta che giro il Vito per andare verso Feltre, finisce sempre che cambio programma e mi fermo prima. Non ce l’ho con Feltre, anzi, è una città che adoro, le ho dedicato persino una poesia “Love Feltre“, ma chissà perché mi vengono in mente parole arcane: “Feltre è il paese che amo, lì ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti…

No, no, scusate, c’è stato un contatto a livello cerebrale, è saltata una pista o qualcosa del genere, io non sono di Feltre, le mie radici sono altrove… chissà da quale meandro del cervello è saltata fuori questa assurda citazione, non è neppure bella, ed è talmente falsa e piena di retorica… Chi vuoi che ci caschi… la gente non è mica così stupida… E’ una cosa vecchia, comunque, qualcosa che ci ha marchiati tutti, che ha intossicato l’ambiente nel quale viviamo e sporcato il nostro DNA; qualcosa di cui un giorno, forse, ci vergogneremo. Scusatemi, non accadrà più.

Dunque, dicevo che per qualche strana ragione ogni qualvolta punto l’auto in direzione di Feltre, a Feltre non ci arrivo mai. Dev’essere una specie di sortilegio. Potente però, perché è andata così anche oggi. All’altezza di Cesana, quel paesino diviso in due dalla provinciale all’altezza del ponte di Busche, mi sono fermato. Chissà cos’ha quel paesino che mi attira tanto. A pensarci, non sono più di quattro case, due da una parte della strada e due dall’altra, eppure è già la terza volta quest’anno che mi fermo per farci delle foto. Questi sono i link delle due volte precedenti: #230 Una Woodstock nostrana; #282 Altri Vajont; cui fa seguito per via delle note vicende: #284 La natica.

Probabilmente è per via della diga: è il bacino artificiale, a fare la differenza. Ed è proprio lì, neanche a farlo apposta, che scatto le prime due foto di oggi. La prima mostra il lago e le anatre che lo popolano, delimitati dal colmo della diga e la base del ponte su cui transitano gli automezzi. La seconda, sul versante opposto, è opposta anche nel colore, evidenziando la struttura delle roccia che risulta rosa di colore, ma anche di fatto per via dalla potenza, per l’appunto “erosiva”, dell’acqua (occhio all’accento!).

20131118 100102 1327_wm dintorni di cesana

20131118 100928 1348_wm dintorni di cesana

Tornando indietro, essendomi ormai dimenticato della mia destinazione iniziale, mi sono limitato ad attraversare la strada, cioè sono passato da Cesana Sud a Cesana Nord. In realtà volevo arrivare sotto il ponte per scattare una foto, il più possibile insolita, del bacino. Sotto il ponte non ci si può arrivare, ma c’è una riva digradante che permette di avvicinarsi all’acqua.

Purtroppo mi muovo come il classico elefante in un negozio di cristalleria e mentre scendo la riva sono letteralmente travolto da un fortissimo e improvviso frullar d’ali. A pochissimi metri da me, al riparo di un canneto, stazionavano una ventina di anatre le quali, sentendomi arrivare, si erano sollevate in volo tutte assieme. Ah, se fossi stato pronto! che foto avrei fatto! E invece ho scattato appena possibile e a casaccio nella vana speranza di ottenere almeno una foto decente. Mi consolo pensando alla fortuna di stare a Belluno e mi dilettarmi di fotografia, se abitavo nel Far West e avessi fatto, che so? il pistolero, a quest’ora sarei bell’e che morto.

Comunque, giacché sono vivo, decido di spostare le chiappe da un’altra parte – le mie chiappe hanno già pagato pegno in quel di Cesana! – Già, ma dove vado? Ormai sto qui e qui rimango. Vuol dire che risalirò la provinciale cercando il primo viottolo che mi porti verso il Piave. Devo attraversare tutta Cesana Nord (due case) per trovarlo, ma alla fine lo trovo e inizio a percorrerlo. Dove finisce l’abitato la vegetazione cambia. Sul lato sinistro, quello verso il Piave, si è creato un habitat di tipo palustre con tanto di canne al vento. Provo ad infilarmi nel canneto, il terreno cambia di natura, si fa cedevole, malleabile, fangoso. Sto attento a dove metto i piedi, quest’anno me ne sono già capitate abbastanza ed è meglio che eviti altri guai.

Non avanzo più di tanto che arrivo in questo posto qui, che mi lascia a bocca aperta.

20131118 103839 1383_wm dintorni di cesana

E’ ancora Piave, ma quanto diverso da quello che conosco! Rami d’albero e canne si specchiano in acque limpidissime che danno l’idea del verde, del celeste, del blu mentre alghe e piante acquatiche si contendono i fondali. E’ un panorama che m’incanta e Nikotina si preoccupa di documentare tutto per bene.

A questo punto è fin troppo chiaro cosa farò per il resto della mattinata: risalirò il Piave cercando di tenermi il più vicino possibile all’acqua in cerca di altri scorci e situazioni fotografabili. Ed ecco il risultato della mia scorribanda.

20131118 105820 1409_wm dintorni di cesana
20131118 112050 1442_wm dintorni di cesana
20131118 113128 1463_wm dintorni di cesana
20131118 120224 1485_wm dintorni di cesana, piave
20131118 122055 1491_wm dintorni di cesana
20131118 122333 1493_wm dintorni di cesana

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#321 Finché c’è riso…

Per chi è di Belluno la scelta era quasi obbligata: oggi era la giornata conclusiva di quell’insieme di iniziative che dall’inizio di novembre sono state messe in campo per festeggiare San Martino, il patrono della città. Oggi, per le vie e le piazze, centinaia di espositori davano vita alla Festa Mercato di San Martino, che per i bellunesi doc è, molto più semplicemente, “la sagra”.

Non saprei dire se più o meno degli anni passati – questo lo leggeremo sui giornali locali di domani – ma la mia impressione è che di gente ce ne fosse davvero tanta. Lo desumo dalla difficoltà di trovare parcheggio e dalle resse davanti alle casse degli stand gastronomici. Mi dicono che non è così semplice. Dicono che le difficoltà di parcheggio e le code per mangiare la piadina, ci sono sempre state, ma questo non vuol dire niente, perché la gente oggi non fa tante chiacchiere, oggi bada al sodo. Per uscire, la gente esce, affolla gli stand, discute, cerca di divertirsi, ma quando di tratta di scucire… be’, allora è tutta un’altra storia. Perché c’è crisi. Non c’è niente da fare, c’è crisi. Ma la crisi, prima ancora che economica (innegabile), è soprattutto una crisi di fiducia.

Già. E di chi si dovrebbe fidare, la gente? Dei politici? “Per carità, sono uno peggio dell’altro: tutti dediti al proprio tornaconto personale”. Dei partiti, allora. “Ma vogliamo scherzare? Quelli sono macchine per acchiappare voti, soldi e potere e poi, una volta che ce l’hanno, chi s’è visto s’è visto. Non ce ne uno che si salvi”.

Be’, ci sono le imprese, di quelle ci si potrà fidare, no? “Come no… finché gli conviene! ma se fatti due conti scoprono che in Polonia (si fa per dire…) ci guadagnano di più, allora chiudono baracca e burattini e trasferiscono le produzioni all’estero. Con tanti saluti alla gente che perde il posto e ai bei discorsi sul ruolo sociale dell’impresa”.

E le Banche? Dicono che le nostre siano le più solide d’Europa. “Sarà, ma coi soldi nostri però; in realtà sono delle sanguisughe, degli strozzini capaci solo di prendere e mai di dare”.

E i sindacati? “Carrieristi”.  I giornali… le TV… “Macché, tutti bugiardi, sempre pronti a imbottirti la testa di chiacchiere…”.

Ma ci sarà pure qualcuno di cui ci si può fidare! Non si potrà negare che Papa Francesco abbia portato una ventata d’aria fresca, di ottimismo. “Come no, in un mondo che era marcio fino al midollo, però: le inchieste sulla pedofilia, la mafia in Vaticano, lo IOR… no, non ci si può fidare neppure dei preti”.

Dio, se non ci si può fidare neppure dei preti, allora siamo messi proprio male. Nelle crisi del passato alcune figure sociali emergevano come riferimenti per il resto della popolazione. Il prete, il professore, il medico, erano nei paesi italiani delle autorità indiscusse. Oggi non si salva più nessuno, non ci si fida l’uno dell’altro. Siamo all’ultima spiaggia.

Ma la gente va alle sagre. Non ha fiducia, non ha soldi, ma va alle sagre. Spera forse che San Martino faccia il miracolo? Ora siamo noi i poverelli. Chissà che il Santo non distribuisca a tutti metà del suo mantello e che ciascuno, con la metà ricevuta, non riesca a coprire se stesso e a dare sicurezza alle persone che ama… Basta crederci.

Intanto la gente va alle sagre. Io l’ho vista la gente delle sagre. Ha voglia di ridere, ha voglia di divertirsi, di stare insieme, di socializzare. Si potrebbe ripartire da qui. Il riso, il buon’umore è il miglior antidoto contro la sfiducia, la prima arma, forse la più importante, contro la crisi. Potremmo cominciare a far cadere qualche barriera, farci qualche nuovo amico, magari “diverso”, magari straniero. Per poi scoprire che ci si può fidare.

E poi insieme andare dal sindacato, entrare nei partiti, perché abbiamo dei diritti e, soprattutto, abbiamo diritto ad una politica pulita fatta per i cittadini e non per gli affaristi. Ai furbi, agli amici degli amici, a quelli che non pagano le tasse, che non ti danno lo scontrino, diremo che la festa è finita. Magari scopriremmo che ci sono dei commercianti onesti e che pure tra gli imprenditori ci sono degli Adriano Olivetti che non ti mandano a morire per un tozzo di pane, ma che si fanno carico della salute e del benessere dei propri dipendenti.

State ridendo? Bene. Allora funziona. Questo è solo il primo passo – assolutamente necessario – per uscire dal pessimismo cosmico in cui ci vogliono cacciare, e ricominciare e sperare…

PS
Nelle foto di oggi riconoscerete alcuni prodotti tipici delle sagre. Ho scelto quelli che per la forma o il colore attiravano la mia attenzione. Poi sono capitato in Piazza Duomo dove si esibiva la banda cittadina. Ho fatto un sacco di foto alla piazza, alla gente, ai musicisti, ma devo scegliere, non posso postarle tutte. Mi sono anche divertito a giocare con i riflessi dei palazzi nel trombone ed è lì – non nel trombone, ma a quel punto – che, finalmente, ho visto la gente ridere. Mi ha fatto piacere e mi ha ridato speranza. “Forse siamo ancora vivi”, mi son detto. Infine, diretto verso piazza dei Martiri, poiché era già ora di pranzo, sono rimasto a lungo indeciso tra un panino con la salsiccia e uno con la porchetta. Voi quale avreste scelto?

20131117 104622 1123_wm sagra di san martino, tra le bancarelle

20131117 104641 1124_wm sagra di san martino, tra le bancarelle

20131117 104830 1127_wm sagra di san martino, tra le bancarelle

20131117 105427 1143_wm sagra di san martino, tra le bancarelle

20131117 110239 1166_wm sagra di san martino, banda

20131117 110945 1189_wm sagra di san martino, banda

20131117 112107 1225_wm sagra di san martino, banda

20131117 112229 1229_wm sagra di san martino, banda

20131117 115712 1266_wm sagra di san martino, galleria

20131117 120218 1282_wm sagra di san martino, tra le bancarelle

20131117 121232 1296_wm sagra di san martino, tra le bancarelle

 

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#320 Creatori di Universi

Chi l’avrebbe mai detto, quando sono uscito di casa stamattina, che sarei andato a fotografare un Universo?

Sarò sincero: le intenzioni erano  molto più modeste, anzi, modestissime, quasi inesistenti. Non è la prima volta, e probabilmente non sarà l’ultima, che esco di casa senza sapere dove andare a parare. Questo fatto di uscire senza lo straccio di un programma, senza un’idea quantomeno minima o sommaria sul da farsi, lo ammetto, a volte mi angoscia; ma devo altresì ammettere che spesso è proprio la casualità a indirizzarmi, all’ultimo momento, sulla strada giusta. Sempre ammesso che esista una strada giusta…

Consentitemi la digressione. Da qualche tempo sto maturando la convinzione – e la cosa mi pare che trascenda la fotografia e possa applicarsi ad altri ambiti – che le strade che percorriamo siano in realtà quelle giuste. Davanti ad ciascuno di noi, infatti, si prospettano solo le possibilità che per cultura e vita vissuta, sono alla nostra portata. Le altre, troppo al di sopra o al di sotto delle nostre possibilità, neppure le vediamo.

Si obietterà che non è affatto ininfluente, di fronte ad un bivio che implica una scelta, imboccare una strada piuttosto che un’altra. Figurarsi se non sono d’accordo. Ogni scelta, com’è ovvio,  comporta problemi, nasconde insidie, presenta imprevisti; in ogni scelta vi sono svolte da affrontare e decisioni da prendere e ciascuna avrà, di conseguenza, approdi diversi. Questo è pacifico.

Quello che voglio dire è che – a condizione che sia alla nostra portata – l’importante è scegliere, e poi crederci fino in fondo, perseguire la propria scelta con determinazione e senza troppi ripensamenti. Perché ogni scelta, se vissuta con convinzione, qualcosa di buono e di utile da offrirci, da insegnarci, ce l’ha sempre. La strada imboccata, alla fine, trova sempre una sua giustificazione, e dunque è quella giusta. Per definizione.

Fine delle digressione. Mi sono fatto prendere la mano dal filo del ragionamento, ma non dimentico dove volevo arrivare. Volevo arrivare al fatto che stamane la nebbia che copriva Belluno mi ha dissuaso dall’andarci. Meglio alzarsi un po’ più in alto, portarsi al limite, lì dove la nebbia appare e scompare sospinta dal vento, e poi decidere il da farsi. E’ così che sono arrivato a Castion ed ho imboccato via Pedecastello. Pensavo di fare qualche foto panoramica dal giardino di villa Catani, ora disabitata, ma non era il caso: Belluno era avvolta da un altissimo muro bianco. Solo le montagne lo superavano.

Così ho camminato fino in via la Centa, ho aggirato la fattoria e mi sono addentrato, inzaccherandomi un po’, per una stradina di campagna costeggiata da alte siepi. E’ stato lì che ho fotografato il primo Universo. Questo:

20131116 01.105524 1011_wm castion, via pedecastello, dintorni dell'agriturismo sant'anna, ragnatela

Si distinguono i corpi celesti, s’intuisce la traiettoria di qualche asteroide, ma nel complesso, in quanto Universo, mi sembrava alquanto scalcagnato. Così mi sono messo a cercarne altri ed ho trovato questo:

20131116 02.104903 0976_wm castion, via pedecastello, dintorni dell'agriturismo sant'anna, ragnatela

Già un’altra cosa, mi pare: molto più ordinato di quell’altro, le traiettorie disegnano dei cerchi concentrici se non addirittura una spirale, come in ogni Universo che si rispetti. Questo mi piace. Ma a questo punto sorge spontanea la domanda: ma com’è nato l’Universo? S’è generato da solo o qualcuno lo ha creato? Mi sono guardato un po’ in giro: non è stato facile scovarlo perché era piccolo e si celava in un minuscolo incavo ai margini del suo Universo. Lui, il Creatore: era evidente che non voleva apparire, ma ho detto che ve lo mostravo e ve lo mostro; eccolo mentre addobba la sua ultima creazione: pare di essere a Las Vegas.

20131116 03.105221 0997_wm castion, via pedecastello, dintorni dell'agriturismo sant'anna, ragnatela

20131116 04.105311 1000_wm castion, via pedecastello, dintorni dell'agriturismo sant'anna, ragnatela

20131116 05.105402 1003_wm castion, via pedecastello, dintorni dell'agriturismo sant'anna, ragnatela

20131116 06.105625 1017_wm castion, via pedecastello, dintorni dell'agriturismo sant'anna, ragnatela

20131116 07.105618 1015_wm castion, via pedecastello, dintorni dell'agriturismo sant'anna, ragnatela

Per un Universo di cui è possibile il Creatore, ve ne sono altri, non meno affascinanti, che sembrano creati dal nulla. Eccone qualcuno.

20131116 08.104613 0950_wm castion, via pedecastello, dintorni dell'agriturismo sant'anna, ragnatela

20131116 09.110129 1025_wm castion, via pedecastello, dintorni dell'agriturismo sant'anna, ragnatela

20131116 10.104214 0942_wm castion, via pedecastello, dintorni dell'agriturismo sant'anna, ragnatela

20131116 11.104734 0955_wm castion, via pedecastello, dintorni dell'agriturismo sant'anna, ragnatela

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#319 Il mio voto

Non si possono tenere i piedi in due scarpe, e infatti, mentre qui a Belluno si svolgeva la Ex-tempore di scultura, io scorrazzavo per i vicoli e le strade di Bruxelles. Non sto qui a lamentarmi, è andata così ed è andata benissimo, ma un po’ mi dispiace di non aver potuto seguire l’Ex-tempore di San Martino, una manifestazione che mi è sempre piaciuta e che frequento da anni.

Quello che mi dà gusto è girare di postazione in postazione e vedere via via la trasformazione dalla materia prima – il tronco di cirmolo – in un’opera d’artista. Uso apposta quest’espressione per evitare di sbilanciarmi troppo. Non so se alla fine, le opere in concorso siano tutte delle opere d’arte, ma chi concorre, su questo non ho il minimo dubbio, è senz’altro un artista. Per esserlo non basta possedere gli utensili giusti, bisogna avere del talento e, soprattutto, avere chiaro in testa un progetto, un’idea da realizzare.

La scultura del legno è una tipica attività “in levare”. L’opera è già, fin dall’inizio, compresa nel tronco ma, chissà come, noi profani non riusciamo a vederla. Solo l’artista togliendo il materiale eccedente, riassemblando e levigando, intervenendo con la propria tecnica espressiva, riesce a materializzarla dinanzi ai nostri occhi stupiti. Mi piace assistere alla genesi dell’opera. La sega sbozza, poi ci pensano la fresa, la pialla, gli scalpelli e la carta vetrata a dare forma definitiva all’opera.

Il bello della faccenda è che il tutto non si svolge a porte chiuse nelle segrete stanze dove solo l’Arte e l’artista possono entrare… no, questa è un’attività creativa molto democratica, che si svolge sotto gli occhi di tutti, grandi e piccini, all’aperto, sotto i portici; e chiunque ha la possibilità di interagire, intervenire, interrogare. Gli artisti, anche i più orsi – e qualcuno indubbiamente lo è – sono in genere anche molto pazienti, parlano con tutti, ascoltano tutti, specialmente i bambini.

Questa volta dunque mi son dovuto contentare di osservare le opere finite. Le hanno radunate ed esposte alla Crepadona, all’asciutto, e la gente può ancora votarle. Quest’anno ce ne sono parecchie di interessanti, ma purtroppo è possibile esprimere una sola preferenza. Francamente non me la sento di sceglierne una a dispetto delle altre, così ho votato anch’io, ma alla mia maniera, pubblicando qualche foto di quelle che mi sono piaciute di più.

20131115 ex-tempore_02 102801 0752_wm Claire-Alexie turcot, la volpe e il corvo

20131115 ex-tempore_01 103648 0770_wm arianna gasperina, passaggio

20131115 ex-tempore_03 104927 0789_wm albino mezzacasa, mare mea

20131115 ex-tempore_05 103850 0775_wm silvano ferretti, ricordi in bianco e nero

20131115 ex-tempore_07 105512 0799_wm aldo pallaro, le spine di Rosa

20131115 ex-tempore_08 103919 0776_wm roberto merotto, la grande madre

20131115 ex-tempore_10 104147 0780_wm fabiano de martin topranin, back to the forest chapter 2

20131115 ex-tempore_15 103126 0759_wm luciano de barba, metamorfosi

20131115 ex-tempore_11 102342 0743_wm matteo zeni, trasparenza

20131115 ex-tempore_11 102553 0749_wm matteo zeni, trasparenza

 

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#318 Il dentro ed il fuori

I murales di Cibiana. Era un appuntamento fissato da tempo e poi, per vicissitudini varie (vedi #316 Il binario PF), rinviato ad oggi. In un primo momento dovevamo essere in due, io ed il mio nuovo amico S*, il quale, bontà sua, si diverte ad accompagnarmi nelle mie peregrinazioni fotografiche. All’ultimo, alla comitiva si è aggiunto anche il mio vecchio amico G*.  S* e G* non si conoscevano, ma il mio blog, a quanto pare, si sta rivelando, tra le altre cose, anche un’occasione di incontri e scambi non esclusivamente virtuali.

Di Cibiana, tutti e tre, sapevamo poco. Sapevamo che era il paese dei murales, ovviamente, ma non avevamo idea di quanti fossero, chi li avesse realizzati né come fossero dislocati. A dire la verità, io a Cibiana c’ero già stato, ma in tempi così remoti da collocarli in una vita precedente. Praticamente non mi ricordavo più di nulla, o quasi.

E’ questo il bello di noi smemorati: che abbiamo ogni volta la possibilità di sorprenderci. Non invidio affatto quelli che ricordano sempre tutto, quelli “che ce l’hanno presente come fosse ieri”. Sarà anche bello, non dico di no, accumulare un’esperienza  dopo l’altra, sommarle impilandole come mattoni per crescere e vedere le cose dall’alto. Certo, è importante, guai se ci fosse negata questa possibilità. Risponde ad un sacrosanto criterio selettivo, di controllo, di progresso, in ultima analisi, ad un bisogno di potere sulle cose del mondo.

Ma vuoi mettere la possibilità di rivivere, di tanto in tanto, qualcuna delle proprie esperienze come fosse la prima volta? Pensate a quanto è bello ripercorrere gli stessi sentieri, rivedere gli stessi posti, sfiorare gli stessi oggetti e sentire riecheggiare dentro di sé i pensieri di un tempo. Non è magnifico? E’ come rileggere un libro già letto: non è vero che viene a noia, anzi, al contrario, si producono echi, ripensamenti, riflessioni edite ed inedite, continue e ripetute sorprese.

E’ così che mi sono sentito oggi nel ripercorrere, con i miei amici, le erte strade di Cibiana. Ad ogni crocicchio, un’immagine da mandare a memoria, da ripescare nel proprio io interiore, in un confronto continuo tra “il dentro” e “il fuori” fino a farne stillare, goccia dopo goccia, emozioni nuove.

Guai se non si dimenticasse. Dimenticare è vivere “enne volte” la stessa vita, anzi, è vivere molte vite diverse. Anche questa è una possibilità da non trascurare. Risponde al bisogno di lasciarsi andare, di liberarsi dalle catene, di riconsiderare il mondo da capo. In ultima analisi, risponde ad un bisogno, umanissimo, di libertà.

20131114 111217 DSC_0565_wm passo di cibiana

20131114 113603 DSC_0575_wm cibiana

20131114 114541 DSC_0589_wm cibiana

20131114 114743 DSC_0593_wm cibiana

20131114 114840 DSC_0594_wm cibiana

20131114 120820 DSC_0610_wm cibiana

20131114 121354 DSC_0614_wm cibiana

20131114 124056 DSC_0642_wm cibiana

20131114 124824 DSC_0652_wm cibiana

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#317 Il Waffel Day

L’ultimo giorno che sono rimasto a Bruxelles, il giorno della partenza, ho dovuto anticipare il commento e caricare nel blog alcune foto scattate nei giorni precedenti. A questo punto, libero da altri impegni, sono partito con i miei ragazzi per un ultimo giro della città. Naturalmente con la fedele Nikotina appesa al collo.

Siamo andati al mercatino delle pulci. Per arrivarci bisogna attraversare il centro e camminare ancora per quindici-venti minuti. Una volta lì mi sono sbizzarrito a scattare una foto dietro l’altra, perché la piazza era bella, colorata e gremitissima, ma di queste foto ne posto solo una

20131113 01.123119 0430_wm bruxelles

dove si vede un tale, tra un Winnie Pooh di peluche e un Gesù Cristo di gesso, che infierisce con le sue ditone su un minuscolo cellulare rosa di non proprio recentissima generazione.

Quello che invece intendevo invece mostrarvi erano alcuni dei graffiti di cui Bruxelles è piena. Si tratta di una forma di arte metropolitana che, dapprima tollerata, è stata in seguito apertamente incoraggiata. Nel centro storico infatti, a parte salvi i palazzi monumentali, non c’è incrocio, via o piazza dove non si veda un disegno, una raffigurazione, un fumetto. Ve ne faccio vedere qualcuno, tanto per darvene un’idea, ma si tratta della classica punta dell’iceberg.

20131113 02.112259 0366_wm bruxelles
20131113 03.112323 0367_wm bruxelles
20131113 04.114239 0375_wm bruxelles
20131113 05.114303 0376_wm bruxelles
20131113 06.120838 0408_wm bruxelles
20131113 07.121412 0419_wm bruxelles

Sulla strada del ritorno, ripassando per il centro, abbiamo deciso che non potevamo tornare a casa senza prima aver assaggiato un “Waffel”. I Waffel, noti anche come Waffle o Gaufre, per chi non  lo sapesse, sono delle cialde croccanti fuori e morbide dentro. Hanno una forma molto particolare ”a griglia” che li caratterizza e, generalmente, sono dolci, ma non troppo. Si accompagnano bene con della frutta – fragole, kiwi, banane – col gelato, con la nutella, con la panna montata. Noi ce ne siamo sbafati uno con la cioccolata fondente. Una delizia che vale il viaggio.

20131113 08.113147 0370_wm bruxelles

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!

#316 Il binario PF

Finalmente a casa… e non lo dico a caso. Ci sarei dovuto arrivare ieri e invece ci arrivo con ventiquattro ore di ritardo. Perché? Ve lo racconto subito.

L’aereo da Bruxelles sarebbe dovuto arrivare alle venti e trenta, ma era in ritardo di una decina di minuti. L’ultimo treno per Belluno – ma è un eufemismo, in realtà non esiste alcun treno per Belluno, si tratta di andare a Montebelluna e aspettare la coincidenza da Padova… – parte dalle ventuno e dieci. C’è giusto una mezz’ora, può bastare, ma bisogna correre. Prima di tutto c’è da recuperare l’auto di mio figlio (lui e la sua compagna devono tornare a Trieste) parcheggiata nelle vicinanze. A parte Sofia che viaggia comodamente in passeggino, noi ci trasformiamo tutti in Abdon Pamich l’eroe della marcia alle olimpiadi del ’64. La mia gamba offesa avrebbe qualcosa da dire, ma non si arrischia, tanto nessuno le darebbe retta.

A tempo di record raggiungiamo l’auto, stipiamo i bagagli, paghiamo il dovuto e attiviamo il navigatore. Secondo quest’ultimo non ci sono problemi, ce la faremo: ci vogliono appena otto minuti per raggiungere la Stazione ferroviaria. Esulto, ma con moderazione.

Fosse per me schiaccerei il pedale dell’acceleratore a tutta manetta, ma mio figlio è corretto e razionale; mi spiega che i semafori sono sincronizzati per una velocità di crociera intorno ai cinquanta chilometri orari e a questa rigorosamente si attiene. Io friggo, ma in fin dei conti ha ragione lui: i semafori si avvicendano uno dopo l’altro, benevolmente verdi.

Arriviamo alla stazione di Treviso con un anticipo di una decina di minuti. Saluto i ragazzi, che la strada per Trieste è ancora lunga, che vadano. Loro però insistono: rimarranno lì finché non li chiamerò dal treno. Ma come sono bravi questi ragazzi.

Le biglietterie sono chiuse, dovrò vedermela con qualcuna di quelle maledette macchinette automatiche. Le odio: ce ne fosse una che funzioni… Ma non devo farmi prendere dal panico. C’è tutto il tempo. Il tizio prima di me se ne va bestemmiando, vorrà dire qualcosa? Forse, ma non ho tempo per pensarci e mi metto lestamente a pigiare sui tasti. Alla fine ce la faccio, la macchinetta ha funzionato ed io ho il mio biglietto per Belluno. E’ in questo preciso istante che inizia l’odissea.

Mancano quattro minuti alla partenza del treno, non c’è problema, ce la faccio… dò un’occhiata al tabellone elettronico delle partenze e… allibisco. In corrispondenza del treno per Montebelluna, sotto la colonna “Binario/Platform” non c’è alcun numero, ma una sigla che lì per lì non riesco ad interpretare. Che significa PF? Ho pensato che volesse dire PlatForm e che non avessero ancora deciso quale binario assegnare al treno, ma a quattro minuti dalla partenza? Strano. Ho cercato qualcuno che potesse spiegarmi, qualcuno che avesse una divisa da ferroviere, ma gli uffici erano chiusi ed in giro non si vedeva nessuno. Ho chiesto ad altri viaggiatori, ma tutti cadevano dalle nuvole. A quel punto, avvertendo il trascorrere del tempo, ho perso la trebisonda. Che stava succedendo? Sono entrato in stazione ed ho percorso avanti e indietro tutte le piattaforme che portavano ai binari: c’erano dei treni pronti per la partenza, ma nessuno che facesse riferimento a Belluno o a Montebelluna.

Ho aguzzato le orecchie, sperando che all’ultimo momento venisse annunciata la partenza del treno e il numero del binario corrispondente: niente da fare, nessun annuncio. A parte i rumori che venivano dal bar, la stazione di Treviso era praticamente morta.

Quando, qualche minuto dopo, la scritta è scomparsa dal tabellone, ho capito che avevo perso il treno e la partita. Mi sentivo a disagio, non tanto per il treno perso, ma perché non avevo capito cos’era successo. Mi sentivo il protagonista perdente di un’esperienza assurda. Avrei voluto prendermela con qualcuno, ma con chi se non c’era nessuno con cui prendersela? E poi, che importanza aveva, oramai?

A quel punto ho chiamato mio figlio al quale ho raccontato tutta la faccenda. Abbiamo deciso, di comune accordo, che sarei andato a Trieste e, dopo aver pernottato da loro, sarei ripartito per Belluno il giorno dopo, cioè oggi. Per tutto il viaggio, una volta recuperato un po’ di “humor” abbiamo discettato a sul significato del binario PF. Ci è venuto in mente il binario “nove e tre quarti” dove Harry Potter e i suoi amici avevano preso il treno per Hogwarts. E’ stata Anna a risolvere il “busillis”: probabilmente PF voleva semplicemente dire: Piazzale Ferrovia e questo poteva significare solo una cosa: che il treno non c’era, era stato sostituito da un bus.

Di sicuro non è la prima volta che fatti del genere accadono, e questo potrebbe spiegare il senso di trascuratezza che si avverte intorno alla vicenda.  Ma il viaggiatore occasionale? Il turista straniero?Non conta nulla? Nessuno sente la necessità di fornire un’informazione adeguata? O forse – ed è la spiegazione più probabile – tanta trascuratezza dimostra in quale bassa considerazione le Ferrovie dello Stato tengano le tratte minori quali, ad esempio, quelle che collegano Belluno al resto del mondo.

PS
Si vuole un’altra dimostrazione? Il treno che parte da Trieste alle otto e cinquantasei arriva a Conegliano alle undici e cinque. La coincidenza per Belluno non è proprio immediata: è alle dodici e trentotto, cioè più di un’ora e mezza dopo. E’ normale? Nel 1913 probabilmente sì, un secolo dopo certamente no.

A volte, però, il male non viene tutto per nuocere. Con una macchina fotografica in mano, un’ora e mezza di attesa può trasformarsi in una magnifica opportunità. Io ne ho approfittato per scattare queste ed altre foto.

20131112 114026 0488_wm conegliano

20131112 114954 0502_wm conegliano

20131112 115532 0510_wm conegliano

20131112 115903 0514_wm2 conegliano

20131112 120854 0531_wm conegliano

20131112 121022 0537_wm conegliano

20131112 122455 0546_wm conegliano

20131112 122803 0556_wm conegliano

***

Clicca sulle foto per guardarle meglio.
Se ti va, lascia un commento.
Se l’articolo o le foto ti sono piaciute clicca in basso a destra e iscriviti al blog!